sabato 11 agosto 2018
Quest'anno ben cinque allenatori su venti nel massimo campionato vengono dalla stessa regione. Ultimo arrivato, il tecnico dell’Empoli Aurelio Andreazzoli
Se il mister in Serie A parla toscano
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La Serie A dalla panchina parla toscano. Ben cinque su venti dei mister del nostro campionato provengono da quella regione; e anche l’anno scorso il podio era stato tutto loro: 1° Max Allegri da Livorno; 2° Maurizio Sarri dal Valdarno; 3° Luciano Spalletti da Certaldo. L’ultimo arrivato invece, dalle terre di Toscana, ma come vedremo si tratta di un ritorno, è Aurelio Andreazzoli da Massa, classe 1953, tecnico dell’Empoli neopromosso. Di lui si sa che parla poco e mal volentieri, che esce in pubblico assai di rado, ma che non rinuncia mai, appena è libero dagli impegni di campo, alle camminate o alle tappe ciclistiche sulle Alpi Apuane con i pochi e fidati amici massesi. La città dove è nato 64 anni fa questo atipico pensatore con i piedi che voleva diventare un calciatore di professione. Sogno accarezzato e sfumato in fretta quando si ritrovò nelle giovanili del Genoa, assieme al conterraneo Claudio Desolati che poi è diventato il bomber della Fiorentina degli anni ’70 mentre il giovane e promettente Andreazzoli si inabissava leggero nell’anonimato del dilettantismo. E da lì è partita anche la carriera di allenatore, dalla gavetta senza fine iniziata in Seconda categoria, nell’Orrione, e giunta fino alla Roma dell’ottavo re Francesco Totti. Ma in mezzo passa un fiume lungo trent’anni, in cui il tribuno Aurelio si è dedicato ad insegnare calcio ai giovani della Lucchese che fu di un altro profeta delle sue parti, Corrado Orrico, signore isolato nella fortezza buzzatiana di Volpara. Un Ezra Pound del pallone, Orrico, ma con idee anarcoidi tali da imporre gli allenamenti “in gabbia” alla Pinetina alla rosa poco operaia della sua Inter, stagione, unica e irripetibile (molti sostengono per fortuna) 1991-1992.

Quell’anno Andreazzoli allenava, ancora in Eccellenza, il Castelnuovo, prima di sedersi sulla panchina di casa, alla Massese, con successivo esilio in Sardegna, al Tempio Pausania, e poi un passaggio rapido all’Aglianese, il club che (nella stagione 2003-2004) ha lanciato nel calcio che conta un certo Max Allegri. Ed è proprio il conte Max, con i suoi cinque scudetti conquistati negli ultimi otto anni (uno al Milan e quattro di fila con la Juventus) il nobile capofila di questo Granducato di Toscana alla guida di un quarto di Serie A. Andreazzoli, per il percorso fatto e la filosofia pragmatica che applica al gioco delle sue squadre, è un po’ un mix tra la scuola di Orrico, da sempre convinto che « è da stolti sostenere che nel calcio non si può inventare più nulla » , e la leggerezza dell’essere che è votato alla giocata di tipo estetico, come auspica Allegri, neo- tutor del divino Cristiano Ronaldo appe- na planato nel fantastico mondo juventino di Vinovo. Andreazzoli si è fermato ad Empoli, dopo esserci arrivato alla vigilia dello scorso Natale quando, dopo un decennio al servizio della Roma, si era ritrovato triste e solitario, ma per fortuna non finale grazie alla chiamata tempestiva dell’esperto presidente e fine calciofilo Fabrizio Corsi. Per dieci anni il ruolo del tribuno Aurelio era stato quello di attendente, “collaboratore tecnico”, alias vice di un grande esponente della scuola toscana, Luciano Spalletti, che lo aveva arruolato all’Udinese nell’ormai lontano 2003. Da lì con il pigmalione Luciano approdo a Trigoria e poi nel 2013 il colpo di scena. Sotto le luci della ribalta, da protagonista in prima linea, nei famosi cento giorni da Andreazzoli. Aurelio alla guida della Roma, niente meno che al posto dell’esonerato Zdenek Zeman.

Fu un lampo, da spalla di Spalletti a traghettatore sulla sponda giallorossa del Tevere, trascinando una Roma pigra e intristita dell’ormai vecchio capitan Totti dal 9° al 6° posto in classifica e arrivando a un passo dall’apoteosi, la finale di Coppa Italia. Derby fratricida contro la Lazio. Una finale che sembrava avviata ai supplementari quando il laziale Lulic (al 71’) infranse il sogno di Andreazzoli che alzando al cielo quella Coppa probabilmente si sarebbe garantito un’altra chance da primo attore della panchina romanista e alla soglia dei sessant’anni avrebbe anche riscritto la storia di questo mestiere. Un artigianato, il suo, fatto di sapienziale 4-3-1-2 che nel laboratorio permanente di Empoli ha sperimentato con successo. Subentrato a Vivarini, in 23 giornate Andreazzoli ha rivoluzionato la Serie B, collezionando sedici vittorie e sette pareggi con l’Empoli che con lui ha messo le ali ed è ri-volato dritto in A. Il palcoscenico in cui la sua creatura si presenta per mostrare ancora quel gioco veloce, sempre a due tocchi, che dalla tribuna ha fatto commentare agli entusiasti tifosi di casa e alle esterrefatte fazioni ospiti «l’Empoli sembra una squadra di calcetto a 11». Con questa cifra stilistica – apprezzata anche in Spagna dall’amico e collega Luis Enrique – Andreazzoli, sempre piedi per terra, frasi centellinate alla virgola ma cultura calcistica di stampo enciclopedico, è pronto ad andare a sfidare sotto la Mole la Juve del livornese Allegri e il Toro di Walter Mazzarri da San Vincenzo (provincia di Livorno anche lui). Per la salvezza sarà derby toscano con il fiorentino Leonardo Semplici che ha un cammino alle spalle assai simile al suo, ma con la Spal è arrivato prima e a cinquant’anni ha cominciato a giocarsela in Serie A. E infine alla Scala del calcio, a San Siro, ci sarà l’abbraccio e poi il match quasi in famiglia tra il suo Empoli e l’Inter di Spalletti.

L’amico ritrovato, il Luciano da Certaldo che nel 2017 Andreazzoli non riuscì a seguire ad Appiano Gentile perché nel frattempo per il ruolo di vice Spalletti aveva scelto un ex Empoli, il tosco-napoletano Martusciello. E un altro tosco- napoletano, appena salito a Londra alla corte del Chelsea di Abramovich, manca all’appello di questa nuova stagione che è ormai alle porte, Maurizio Sarri. L’eroico condottiero del Valdarno anche lui in A era sbarcato assai tardi, a 55 anni (nel 2014), proprio con l’Empoli. Se Sarri fosse rimasto al Napoli (ora passato a Carletto Ancelotti) sarebbero stati sei su venti i tecnici del Granducato a giocarsi questo torneo ricco e redivivo, e tutto ciò anche in virtù delle loro grandi capacità di guide umane prima che di campo. Il primo a riconoscere tali meriti a Andreazzoli e gli altri malapartiani ( « maledetti toscani » , ma neanche troppo), è il loro presidente di categoria, il n. 1 dell’Assoallenatori Renzo Ulivieri. Ovviamente tosco, pisano di San Miniato, Renzaccio il Rosso, che da tempo va ripetendo il postulato: « Gli allenatori toscani sono i migliori, quanto meno per genuinità».

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