giovedì 19 luglio 2012
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​«Io lo sapevo, che non la dovevamo fare questa conferenza stampa!». Ma, tant’è: noblesse oblige. La curiosità dei giornalisti attorno al nuovo, attesissimo film di Giuseppe Tornatore è talmente vorace, che a sfamarla bastano perfino le poche briciole che il grande regista è disposto a lasciar cadere, nel corso di un incontro cui stato costretto da (ovvi) obblighi di marketing, ma trattenuto da (legittima) riservatezza d’autore. E così quel poco che si è potuto sapere di La migliore offerta – questo il titolo della pellicola, appena finita di girare fra Trieste, Bolzano, Milano, Parma, Praga, Vienna e Roma, con musiche di Ennio Morricone e in uscita in prima mondiale il 4 gennaio 2013 – è che il film rappresenta un probabile ritorno alla semplicità delle atmosfere, tre anni dopo i fasti kolossal dello spettacolare Baarìa. «Forse è perché quello era il film di una vita, tale da coinvolgere tutte le fibre della mia sicilianità, che ora mi sono concentrato su una storia senza più nulla di autobiografico, sospesa in una vaga realtà mitteleuropea, tesa soprattutto sul filo delle psicologie».  Il titolo allude all’intercalare tipico del battitore d’asta, qui interpretato dall’australiano Geoffrey Rush : «anche se ha un significato metaforico. Se vuoi conquistare qualcuno non sai mai qual è l’offerta migliore: temi sempre di farla troppo alta o troppo bassa». In La migliore offerta, dunque, «il mondo delle aste rimane solo sullo sfondo di una storia che è soprattutto d’amore. Una passione, narrata coi ritmi sospesi del thriller (ma senza morti né indagini) che trasformerà il protagonista fino a renderlo irriconoscibile». La bellissima che ne stravolgerà l’esistenza è l’olandese Sylvia Hoeks; attorno ai due un amico del protagonista, che ne osserva preoccupato l’involuzione (Donald Sutherland) ed un giovane artigiano, forse coinvolto anche sentimentalmente (Jim Sturgess). «Per documentarci io e Rush abbiamo frequentato moltissime aste, ammirando lo stile istrionico e coinvolgente dei battitori, che per attrarre gli acquirenti arrivano a "recitare" il loro ruolo – dice Tornatore –. Ne ho anche ripreso alcuni con una telecamerina. Ma di nascosto, perché è proibito». L’idea del film risale addirittura a trent’anni fa: «Non l’avevo mai realizzata perché non mi soddisfaceva appieno. Fino a che non l’ho fusa con un’altra, pure zoppicante, e ne è nata una struttura assolutamente convincente». Allora Tornatore è subito partito con un cast internazionale che recita in inglese («Rush, il primo cui avevo pensato, ha detto subito di sì, dopo il consenso della moglie che gli legge, e approva, tutti i copioni») e un’ambientazione di vaga matrice nordica. «Ma non vi si dovrà riconoscere alcuna città. Di sicuro non volevo un’atmosfera italiana, inadatta al soggetto. Per questo non ho preso attori nostri».   E in attesa del debutto – è appena iniziato il montaggio, quindi il film non farà in tempo a partecipare al Festival di Roma – il regista commenta alcuni fatti di cronaca che lo coinvolgono emotivamente. «Non si può accettare l’idea che un luogo come Cinecittà posa scomparire – afferma, a proposito della paventata vendita della "Hollywood sul Tevere" –. Così come non si può accettare che continui a rimanere un luogo abbandonato, di una tristezza ineffabile". E circa la sua terra d’origine: «Quando leggo "La Sicilia rischia il default" spero solo che la Sicilia non divenga, come al solito, un laboratorio dove si sperimenta ciò che poi dev’essere tentato sul resto del territorio nazionale. Che la usino solo per spiegare alla gente, insomma, cosa significa "default"».
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