venerdì 26 novembre 2010
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Un mondo nuovo: è la prospettiva che si apre dinanzi al gruppo di cattolici che, subito dopo la Grande Guerra, animati da una dose non trascurabile di «audacia cristiana», si adoperano per dar corpo a un antico progetto: la fondazione di un Ateneo dei cattolici italiani. Una prospettiva densa di incognite: i tempi non erano facili, si trattava anzi di uno dei periodi più difficili della storia nazionale. Il 1920 vedeva le città italiane trasformate nel teatro di violenti tumulti e le campagne agitate dalle lotte dei lavoratori.Il mondo cattolico milanese aveva vissuto il conflitto nel quadro di una consapevole partecipazione alla vita nazionale: dal neutralismo era passato alla rispettosa attesa delle decisioni governative e poi all’assunzione di responsabilità; un percorso che si doveva alla volontà di partecipare alla storia comune, senza restare emarginati, esclusi o, ancor peggio, nemici. Anche per il gruppo di padre Agostino Gemelli la riorganizzazione della società – il tema che stava al centro dei programmi di molte forze italiane tra 1919 e ’20 – era l’obiettivo prioritario, da perseguirsi attraverso l’elaborazione di una disciplina collettiva originale, che si avvalesse delle spinte tecnologiche e scientifiche senza farsi condizionare dagli aspetti più infausti del progresso. La guerra aveva sottolineato, agli occhi dei cattolici italiani, l’opportunità di far fronte a una vera e propria emergenza educativa. Lo aveva rilevato, nel 1916, l’arcivescovo di Milano Andrea Ferrari, attaccato dal Popolo d’Italia, il foglio interventista di Mussolini, che aveva inscenato una polemica contro la consacrazione dell’esercito al Sacro Cuore, accusando l’antropologia cattolica di ostacolare la formazione di buoni soldati. Il cardinale riecheggiava, con i toni allarmati di chi presagiva gli esiti nefasti del mussolinismo, un’antica preoccupazione del mondo cattolico, che sin dai tempi dell’«Opera dei congressi» aveva combattuto per la libertà d’insegnamento, battaglia che ora acquisiva un significato ancor più pregnante per via di quello che molti – e non solo cattolici – giudicavano il fallimento del sistema educativo nazionale, esito del monopolio esercitato dallo Stato nei confronti della scuola di ogni ordine e grado. Al congresso di Milano del 1897 l’idea era stata lanciata da don Davide Albertario, che si era inserito in un percorso lungo, popolato dalle figure più rappresentative dell’intransigentismo, da alcuni conciliatoristi e, più tardi, dai giovani democratici cristiani: uomini come Giuseppe Toniolo, Giuseppe Tovini, Niccolò Rezzara, Angelo Zammarchi, Angelo Mauri, Achille Ratti, Romolo Murri, ed altri ancora, avevano tenuto viva la convinzione che solo la libertà d’insegnamento, con la creazione di una rete di scuole libere ad ogni livello, dalle elementari all’università, potesse rimediare alla superficialità culturale e all’anarchia morale dell’istruzione pubblica. La guerra accelerava i tempi. Le capacità progettuali e le doti creative di padre Gemelli, stimolate dall’ammirazione per l’organizzazione scientifica di istituti e laboratori stranieri, trovavano ulteriore incentivo a causa della crisi della coscienza europea, che aveva prodotto il conflitto. Proprio per questo Gemelli aveva individuato nel medioevalismo un modello di cultura e di società impregnato di valori cristiani, da riproporre all’attenzione dei contemporanei. Nell’agosto del ’18 l’editrice Vita e Pensiero e la Società italiana per gli studi filosofici e psicologici, attraverso Gemelli e Armida Barelli, presentavano a Toniolo, già molto malato, un progetto per la costituzione di un istituto superiore. L’incontro, ricordato dai protagonisti come un momento intenso ed illuminante in cui Toniolo aveva passato il testimone al futuro rettore della Cattolica, era avvenuto a Varallo Sesia, dove il maestro pisano era ospitato da un industriale tessile, il conte Ernesto Lombardo. Toniolo, che da tempo seguiva il percorso scientifico di Gemelli, lo aveva appunto sollecitato a realizzare un’istituzione cattolica che servisse a promuovere il progresso degli studi. Come Gemelli, Toniolo era convinto che la libertà d’insegnamento dovesse servire non solo a garantire il diritto delle famiglie cristiane ad impartire ai figli un’educazione non contraddittoria con la fede, ma anche e soprattutto a un confronto fecondo tra mondo cattolico e cultura moderna.La mancanza di vera libertà nell’insegnamento superiore – una mancanza che, sino ad allora, aveva intriso la formazione universitaria di razionalismo e di materialismo – aveva inaridito l’educazione nazionale. Al tempo stesso aveva contribuito ad indebolire l’efficacia della proposta educativa cattolica ed aveva rallentato la formazione scientifica nelle file del cattolicesimo italiano. Subito dopo il conflitto veniva dunque creato, su proposta di Filippo Meda, l’Istituto Giuseppe Toniolo di studi superiori, quale «organismo intermedio» che preparasse l’avvento dell’Università Cattolica, onde evitare di «suscitare i sospetti e le opposizioni dei nemici della Religione». Come è noto, la via ipotizzata da Meda si rivelava vincente. Il 6 febbraio 1920, con atto pubblico redatto dal notaio Carlo Nogara, era fondato l’Istituto Toniolo ed era inoltrata al Ministero della Pubblica Istruzione la domanda perché fosse eretto in ente morale. La domanda era accolta dal regio decreto del 24 giugno successivo, controfirmato da Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione nell’ultimo governo Giolitti. Tra gli scopi del Toniolo, come si legge nello statuto, vi era quello di «fondare corsi di insegnamento superiore per addestrare i giovani nelle discipline filosofiche, giuridiche e sociali». Il cardinale Ferrari, in una lettera a Gemelli, annotava che l’organismo veniva creato per promuovere l’Università Cattolica.
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