sabato 21 dicembre 2019
La Biblioteca Nazionale francese dedica una megamostra al papà degli Hobbit con 300 pezzi fra manoscritti e disegni dello scrittore inglese. Mappe e paesaggi svelano il sogno dell’Eden perduto
Una immagine dello scrittore inglese J.R.R. Tolkien

Una immagine dello scrittore inglese J.R.R. Tolkien

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Il prestito più consistente arriva dalla Bodleian Library dell’Università di Oxford, a cui si aggiunge un altro cospicuo nucleo della Marquette University Library a Milwaukee in Wisconsin, ateneo americano fondato nel 1881 dai gesuiti. Questo già notevole e insolito spostamento di opere, è completato da esemplari di armi e manoscritti medioevali, di stampe e miniature della Biblioteca Nazionale di Francia, dove fino al 16 febbraio è allestita una delle più grandi esposizioni mai dedicate allo scrittore inglese J.R.R. Tolkien: il papà dello Hobbit e del Signore degli Anelli, saga fortunata tanto in libreria quanto al cinema con le trasposizioni di Peter Jackson.

In tutto sono oltre trecento i pezzi raccolti nella mostra Tolkien. Voyage en terre de Milieu a cura di Vincent Ferré e Frédéric Manfrin, che si avvale di un sontuoso catalogo stampato dalle edizioni Christian Bourgois. La lotta dello Hobbit per impedire che l’anello finisca nelle mani del Signore delle tenebre riprende un tema classico, di derivazione mitica e biblica. Ma in questa mostra il cammino verso uno dei capisaldi del genere fantasy è reso più accattivante dai tanti disegni di Tolkien esposti e anche di altri, come gli acquerelli di Alan Lee, grafico e pittore britannico che fu il primo a corredare una edizione del Signore degli Anelli con le proprie illustrazioni nel 1992 in occasione del centenario della nascita di Tolkien: cominciò per Lee un’avventura che lo ha portato all’Oscar nel 2004 per la scenografia del film Il Signore degli Anelli: Il ritorno del re (in mostra si può vedere invece l’illustrazione del 1954 per la sovracoperta dell’edizione dell’ultimo tomo della saga uscito l’anno dopo).

Mappa della Terra di Mezzo annotata da J.R.R Tolkien nel 1969 e disegnata dal figlio Christopher

Mappa della Terra di Mezzo annotata da J.R.R Tolkien nel 1969 e disegnata dal figlio Christopher - © Eredi Tolkien

John Ronald Reuel Tolkien, oggi noto per gli Hobbit, fu in realtà un personaggio dalle qualità intellettuali complesse. Cultore filologico della lingua anglosassone, docente universitario di antico inglese, fu anche molto attratto dalle lingue artificiali, lingue inventate e non corrispondenti a un popolo o a una nazione precisa – vedi il klingon di Star Trek o l’astruso lojban dei logici, fino al più noto esperanto –; può sembrare strano, ma la sua storia di linguista ne fa il candidato perfetto per inventare mondi e storie fantastiche. Venne scartato come potenziale Nobel, in quanto la sua scrittura e il genere fantasy furono considerati a Stoccolma prodotti di «seconda categoria».

La Grande Bibliothèque intitolata a “François Mitterrand” propone una mostra- apoteosi dove l’allegorismo tolkieniano si riflette e si nutre di una “visionarietà” che è anche la metafora stessa della Terra di Mezzo: in quel mondo che si avvale di precise e minuziose cartografie – disegnate alcune dal terzo figlio di Tolkien, Christopher, già pilota della Royal Air Force – si annida una sorta di tarlo psichico e psicoanalitico. C’è qualcosa di personale sepolto tanto nelle trame quanto nei disegni che lo stesso Tolkien elabora per illustrare le sue invenzioni. Intanto si deve ricordare che J.R.R. viene al mondo a Bloemfontein in Sudafrica, colonia inglese che ha segnato più di altre la storia del Novecento; rimane presto orfano di padre e lascia il Paese per l’Inghilterra, con la madre. A undici anni perde anche lei e finisce sotto le cure di un prete cattolico, metà gallese e meta anglo-ispanico, padre Francis Xavier Morgan, che esercitava il suo ministero all’Oratorio di Birmingham. Oltre a trasmettergli la passione per la pipa, il sacerdote lo spingerà a concentrarsi negli studi, imponendogli anche di non distrarsi con le passioni amorose (divieto che Tolkien rispettò finché visse padre Morgan e poi cercò di recuperare il tempo perduto senza venire meno allo studio).

L'immagine originale usata per la sovraccoperta della prima edizione dello 'Hobbit' (1937)

L'immagine originale usata per la sovraccoperta della prima edizione dello "Hobbit" (1937) - © J.R.R Tolkien

La Terra di Mezzo è il luogo immaginario che attraversa tutta l’opera di Tolkien, dallo Hobbit al Signore degli Anelli fino alla storia del Silmarillion, che vide la luce postuma nel 1977. È una terra, chiusa tra gli oceani, popolata da esseri nuovi e antichi al tempo stesso, che ci appare pacificata dalla mancanza di ombre. La capacità di Tolkien di definire un mondo immaginario con un realismo di dettagli che ha stupito generazioni di lettori, forse si deve anche alle sue capacità grafiche e pittoriche. Così Arda, il luogo che contiene i continenti della Terra di Mezzo e di Aman, come spiegò lo stesso Tolkien, potrebbe semplicemente essere la terra di un altro tempo preistorico, ovvero «ad un differente stadio dell’immaginazione ». Il modo di scriverne e di disegnarla diventa, scrivono i curatori in una nota a una cartina disegnata in nero rosso e blu, il ritratto del “personaggio” principale del Signore degli Anelli.

Su questa mappa si possono leggere già in nuce (siamo tra il 1937 e il 1949) tutti gli sviluppi delle invenzioni tolkieniane. Nel 1938, un anno dopo il primo Hobbit, Tolkien scrive al suo editore, che preme perché pensi a un seguito, e gli confessa: «Non saprei cos’altro dire sugli Hobbit, e d’altra parte avrei molte cose da dire su questo mondo». La tentazione ha già instillato nella sua mente il sequel. Ancora mappe: quella del 1950, dovuta alla mano del figlio, ma con annotazioni dello scrittore, secondo Christopher colloca la Terra di Mezzo «alla latitudine di Oxford». E in effetti c’è un idilliaco sentore di romanticismo inglese nella raffigurazione della Contea: «punto di partenza e punto di arrivo – scrivono i curatori –. È una campagna dolce e serena, popolata di contadini e di piccoli artigiani », dove la vita scorre tranquilla ed è raro che si verifichi qualche fatto increscioso. Una metafora paradisiaca prima della caduta. Ma poi accadrà il peggio.

J.R.R Tolkien, 'Orthanc I', disegno di torre della fortezza di Isengard (1942)

J.R.R Tolkien, "Orthanc I", disegno di torre della fortezza di Isengard (1942) - © J.R.R Tolkien

La Contea non sarà piuttosto una idealizzazione dell’Inghilterra? Una sezione della mostra riguarda proprio questa allegoria. Come dire, seguendo la polemica ruskiniana e morrisiana, un mondo dove artigianato e vita agricola si trovano poi sovvertiti da tecnica e industria. Riscuotendo successo nel 1937 con Lo Hobbit, Tolkien ne delinea il “paesaggio” in alcuni acquerelli: La collina del dipinto Hobbiton- across-the Water, vista appunto dal lato opposto all’acqua, ha un tono più fiabesco e naïf che fantastico. Lo stile, più intenso nei colori, riprende quello delle gouaches di George Sheringham che morì proprio nel 1937 (e del resto i disegni di Tolkien precedenti lo Hobbit svariano da un paesaggismo lieve a un surrealismo che raccoglie le atmosfere dell’arte degli anni Trenta in Europa dove l’inconscio crea o scopre mondi segreti: le case sono simili a grandi cilindri stesi che hanno enormi porte-oblò dipinte di verde, il soffitto è rivestito di legno, il pavimento piastrellato è coperto da un tappeto e dentro lo Hobbit sta accendendo la sua lunga pipa – tema diffuso nella pittura europea fin dal XVI secolo, quando i mercanti olandesi importavano tabacco).

Stando ai disegni di Tolkien si deve dire che l’influenza del gusto medievaleggiante è soltanto uno degli apporti alla sua immaginazione che certamente assorbe i miti celtici, anche nella successiva rilettura cristiana, conosce le mitologie nordiche dei boschi – numerosi i fogli dedicati alle figure degli elfi – e compone alberi linguistici come quelli dei Valar che abitano Arda, mentre le montagne che celano reminiscenze e insidie divine (ecco in un acquerello l’aquila che veglia il sonno dello Hobbit). I disegni di Tolkien rendono tutto questo con un segno a volte lineare e rarefatto, altre volte con velature d’acquerello che si contrappongono a lettere ricche di annotazioni che guideranno lo scrittore nella sua ricerca del mondo perduto.

Una versatilità, anche di sguardo, con una capacità di delineare paesaggi, atmosfere ma anche simboli più astratti che, sia pure con le dovute differenze, ricordano a tratti i disegni e i dipinti del Libro Rosso di Jung: certo meno concitati e frutto di una psiche tumultuosa, ma non meno immaginifici. E quando una sezione della mostra tocca la questione se Tolkien sia uno scrittore per ragazzi, esponendo bellissimi disegni di animali che richiamano i graffiti rupestri, ecco, essa si offre come la prova più persuasiva che J.R.R. è in realtà un decifratore del cuore umano.

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