venerdì 4 agosto 2023
Nel XVI secolo un signore feudale giapponese donò ai gesuiti un separè,con sopra dipinto il castello di Azuchi, che poi venne portato a Roma dal Papa e oggi è perduto: sforzi comuni per ritrovarlo
Il castello di Azuchi in un’antica stampa giapponese

Il castello di Azuchi in un’antica stampa giapponese - WikiCommons

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Nel 1576 un signore feudale (daimyo) del Giappone chiamato Oda Nobunaga stabilì la sua residenza ad Azuchi nella prefettura di Shiga, nella parte centrale del Paese. La sua personalità è importante nella storia perché fu il primo daimyo che tentò di unificare il Giappone, riuscendoci quasi. Ad Azuchi Nobunaga fece costruire un imponente castello. Il maestoso edificio fu completato tre anni dopo. Ma nel 1582, durante uno dei tanti conflitti interni che caratterizzavano l’epoca il castello fu distrutto in un incendio. Le cause sono sconosciute, ma secondo il racconto dei missionari sarebbe stato il figlio di Nobunaga ad appiccare il fuoco per evitare che la fortezza cadesse nelle mani dei nemici. Questa storia antica e lontana è stata di recente rievocata in Vaticano da una missione guidata dalla vicegovernatrice della provincia di Shiga con l’obiettivo di cercare di recuperare l’unico documento che riproduce le fattezze di quel castello. Documenti storici inoppugnabili testimoniano infatti che nel 1581 Nobunaga donò al gesuita abruzzese Alessandro Valignano (1539-1606) un prezioso paravento su cui era dettagliatamente dipinto il castello e la città. Questo paravento fu inviato dal religioso a Roma per mezzo dei quattro ragazzi giapponesi protagonisti della prima ambasceria nipponica in Europa, affinché la portassero in dono a papa Gregorio XIII (1502-1585).

I ragazzi giunsero nella Città Eterna nel 1585 e, raccontano le cronache, compirono la missione affidata loro da Valignano. Sempre le cronache dell’epoca raccontano che il Pontefice abbia molto gradito l’omaggio proveniente dal Paese del Sol Levante, tanto da farlo esporre nella cosiddetta Galleria delle carte Geografiche. Nel corso dei secoli di questo manufatto, almeno in Vaticano, se ne era persa traccia e anche memoria. Ma in Giappone, più precisamente nella provincia dove si erigeva la fortezza di Azuchi, negli ultimi decenni c’è stato un fiorire di iniziative per cercare di recuperare tutta la documentazione riguardante il castello. Con questo scopo è nata addirittura una rete internazionale di studiosi, The Azuchi Screens Research Network, che poi ha allargato i suoi interessi al complesso delle interazioni culturali tra Giappone e mondo occidentale. Non solo. La prefettura di Shiga ha diffuso un depliant in cui si chiede aiuto, in sei lingue, per reperire informazioni sul castello, con tanto di apposito indirizzo email dove inviarle.

L’ultimo tassello, per ora, di questa ricerca del “paravento perduto”, si è avuta con la recente visita nell’Urbe di Osugi Sumiko, 49 anni, dall’agosto 2022 vice-governatrice della prefettura di Shiga. Al termine di questa missione Avvenire l’ha incontrata nella sede dell’ambasciatore giapponese presso la Santa Sede, Chiba Akira. «Nei prossimi anni – spiega Osugi - ci saranno due anniversari importanti che riguardano i rapporti tra Vaticano e Giappone, e in particolare con la nostra prefettura: nel 2025 sarà il 440° anniversario della prima ambasceria nipponica a Roma e nel 2030 sarà il 450° della fondazione del primo seminario cattolico in Giappone che sorse proprio ad Azuchi nella prefettura di Shiga nel 1580». E proprio in vista di questi appuntamenti è nata l’idea di rafforzare i rapporti culturali con la Santa Sede. Anche con l’obiettivo di inseguire le tracce del paravento. La vicegovernatrice ha avuto modo di incontrare personalità vaticane di primo piano: il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione, l’arcivescovo Edgar Pena Parra, Sostituto alla Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. «Con loro – racconta Osugi – abbiamo parlato del paravento e hanno dato la massima disponibilità per cercare informazioni a riguardo. Erano molti interessati anche perché nel paravento era disegnata non solo il castello ma anche la città di Azuchi e quindi anche il seminario».

Nel corso degli incontri sono arrivati anche suggerimenti per ulteriori piste di ricerche, da effettuare, ad esempio negli archivi della Compagnia di Gesù. La vicegovernatrice ovviamente non potrà venire a Roma di continuo, ma un punto di riferimento per gli studiosi che vorranno assicurare il loro contributo sarà l’ambasciata presso la Santa Sede. «L’impresa è difficile, lo so», confessa. Il paravento era infatti costruito con materiali facilmente deperibili come il legno e la carta. «Ma non impossibile», aggiunge. In questo senso è stata una notizia positiva quella arrivata dall’Austria, dove recentemente è stato ritrovato un paravento della fine del XVI secolo, quindi coevo a quello di Azuchi, raffigurante il castello di Osaka. Un motivo in più per continuare la ricerca del “paravento perduto”.

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