domenica 8 luglio 2012
​Per gli israeliani sono comunque arabi di cui diffidare; per i palestinesi il loro rifiuto dell’islam è sospetto, forse indice di tradimento. Stretta tra due fuochi, la vita quotidiana dei fedeli del Vangelo nelle terre in cui nacque è sempre più difficile. E molti fuggono
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Poco meno di duecentomila, circa il 2% dell’intera popolazione, tra Israele e Cisgiordania. Sono i dati dei cattolici in Terra Santa. Numeri che fanno riflettere, calati vertiginosamente dal 1948 fino a oggi. È il risultato di un conflitto drammatico, che al momento non trova una via d’uscita. L’esodo costante ha visto i cristiani arabi abbandonare progressivamente le loro case nel corso degli anni e trova nella situazione attuale una serie di problematiche che rendono il futuro sempre più incerto. Il problema delle case, il lavoro ridotto ulteriormente dopo la costruzione del muro che divide i due popoli, i salari – quando ci sono – che non permettono di vivere in condizioni dignitose: tutti questi fattori hanno portato nel corso di pochi anni a una drastica diminuzione della presenza cristiana in Terra Santa, dal 25% per cento del 1840 al 2% di oggi. Gli arabi cristiani che hanno scelto di rimanere in questi luoghi si scontrano ogni giorno con le difficoltà che l’incerta situazione politica e sociale mette loro davanti. Diversa è la condizione degli arabi israeliani rispetto a quelli palestinesi, diversa ancora è la vita tra gli arabi israeliani che vivono al Nord e quelli che vivono al Sud. Nei territori occupati la situazione è più difficile: dati alla mano, il potere di acquisto dei palestinesi è diminuito di circa il 65% e i loro salari sono la metà rispetto a due anni fa. Le condizioni sono comuni per molti aspetti a quelle dei musulmani, e dove c’è un muro a dividere sono spesso i problemi a unire gli animi. Nella zona di Betlemme le istituzioni cattoliche danno lavoro a circa un terzo della popolazione cristiana della regione. Tuttavia un dipendente riceve in media tra i quattrocento e i mille euro mensili. Nonostante il salario generalmente basso, essere dipendente significa beneficiare dell’assicurazione sanitaria, garantita al solo 20% della popolazione. Ecco perché un grande aiuto è fornito ogni anno dalla colletta del Venerdì Santo, sostegno che la Chiesa non fa mai mancare ai cristiani di Terra Santa. n Israele il problema maggiore per i cristiani rimane l’alloggio: il costo esorbitante ha costretto la Custodia a intervenire per edificare nuove abitazioni. Spesso le case vengono letteralmente regalate alle famiglie che non hanno dove vivere, e che altrimenti sarebbero costrette ad andarsene. Questo fenomeno riguarda soprattutto Gerusalemme, dove i cristiani, chiusi nella morsa tra il giudaismo e l’islam, non vengono tutelati dallo Stato e la Chiesa locale diventa un punto di sostegno che altrove non troverebbero. L’esodo dei cristiani preoccupa anche il Nord, in Galilea, dove però la situazione è per certi aspetti profondamente diversa. A Cana, il paese dove Gesù fece il primo miracolo, nel 1940 i cristiani erano l’80%; oggi ne è rimasto solo l’11%. Eppure le condizioni non sono certo paragonabili a quelle della Città Santa: gli arabi locali sono più ricchi e ben integrati con la restante società ebraica. Le grandi divisioni sembrano lontane, anche se rimangono incognite e difficoltà legate al futuro. Secondo recenti studi il 30% dei giovani vorrebbe abbandonare il Paese e i matrimoni delle giovani coppie cristiane si attestano in media a sei o sette l’anno. Questo è il risultato di un conflitto che ha lacerato un paese. Nessuno rimane escluso, e spesso anche le vicende più normali della vita devono scontrarsi con ostacoli inimmaginabili. Sono storie di una quotidianità desolante e per certi versi paradossale. Eppure è la quotidianità che i cristiani locali affrontano ogni giorno. Un popolo a volte triste, ma mai disperato.
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