domenica 6 agosto 2017
«Occorre discernere per quali vie Dio lo conduce per poi accompagnarlo con una pastorale costruita sulla vita concreta». A cento anni dalla nascita la riscoperta del teologo argentino
Il santuario mariano di Luján

Il santuario mariano di Luján

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Per chi si avvicina a questo teologo sistematico binomi come vita e opera, pensiero e azione, teologia e pastorale non possono essere distinti, vanno intesi strettamente uniti e in una costante interazione. Seppure poco conosciuto e per molti anni appartato dall’attività pubblica, l’argentino Rafael Tello (7 agosto 1917-19 aprile 2002) è stato fautore di una teologia solidamente tomista ed eminentemente pastorale, al servizio dell’evangelizzazione, anzi, della ricerca di una teologia pastorale che sia pratica e realista, e certamente oggi, a un secolo dalla nascita, va riconosciuto come uno dei pensatori più originali, creativi e fecondi della Chiesa in America latina. Il suo pensiero è certamente di riferimento per una considerazione matura della prassi teologica che nel tempo presente vuole porsi al servizio dell’evangelizzazione.

Evangelizzare a partire dal popolo, « desde el pueblo », vedere il popolo come soggetto della storia immerso in un processo storico, assumerne la cultura e riconoscere la 'mistica popolare' come modalità non secondaria di vita cristiana, optare per «la centralità evangelica dei poveri nell’economia della salvezza», sono le linee peculiari di una prassi teologica, che, come afferma il teologo Enrique Ciro Bianchi nel saggio Introduzione alla teologia del popolo. Profilo spirituale e teologico di Rafael Tello (Emi), «erano quelle di un uomo intriso di sapienza evangelica che sapeva pensare le cose della vita alla luce dell’amore e dell’azione salvifica di Dio». Per Tello la Chiesa deve porsi al servizio del popolo e discernere per quali vie Dio lo conduce per accompagnarlo. Si può così in sintesi dire che se «l’intenzionalità fondante della sua riflessione teologica è quella di comprendere come Dio si manifesti nella vita del popolo latinoamericano », ciò significa «cercare la pastorale che Dio vuole» a partire dalla realtà e non da piani astratti elaborati a priori. Sono proprio questi temi fondamentali della ricerca teologica di Tello ad illuminare il tracciato di una riflessione che a seguito del Vaticano II forma una nuova coscienza di Chiesa in America latina. Una riflessione che a partire dall’Evangelii nuntiandi di Paolo VI passando per il Documento di San Miguel del 1969, elaborato dalla Commissione episcopale di pastorale Argentina (Coepal), confluisce nel Documento di Aparecida, il testo conclusivo della quinta conferenza dell’episcopato latinoamericano del 2007. Si tratta di un percorso carsico quanto dirimente che nella circostanza storica di Aparecida riaffiora in piena luce e fatto proprio dalla gerarchia ecclesiastica diviene al tempo stesso anche chiarificatore delle radici del pensiero teologico-pastorale di papa Francesco nel quale le riflessioni di Rafael Tello si snodano ampiamente in rimandi precisi nell’Evangelii gaudiume dunque si esplicano anche come sintesi programmatica di un pontificato. Ricordando nel 2012 la sua attività di docente, di perito teologo alla Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Medellín e della Commissione episcopale di pastorale argentina che nel 1969 propose la pastorale popolare intesa come azione della Chiesa che evangelizza a partire dal popolo stesso, l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio rilevava le sue innumerevoli iniziative pastorali tra le quali la più nota e che prosegue tuttora: il pellegrinaggio giovanile al santuario mariano di Luján. In occasione della presentazione della sua opera alla Facoltà di teologia dell’Università Cattolica dell’Argentina, Bergoglio ne inquadrava in questi termini il profilo nel delicato contesto degli anni Settanta: «Tello cercò fedelmente strade per la liberazione integrale del nostro popolo portando fino in fondo la novità evangelica senza cadere nei riduzionismi delle ideologie. Non lo riguardano, non lo comprendono, né le condanne né i sospetti delle due Istituzioni sulla teologia della liberazione emanate dalla Congregazione per la dottrina della fede. Oggi, con la prospettiva che ci dà la storia, possiamo dire senza alcun dubbio che la riflessione e la pastorale che animavano padre Tello intendevano accompagnare l’azione liberatrice di Dio evitando gli estremismi dell’attivismo secolarizzatopoliticizzato da un lato e della rassegnazione fatalistica dall’altro».

È stato così che per Bergoglio egli «ha aperto molte delle vie che oggi percorriamo nella nostra pastorale, e ha saputo farlo coniugando lo slancio profetico con l’adesione ferma alla sana dottrina ecclesiale ». Una sana dottrina peraltro segnata dal continuo ricorso alla Summa dell’Aquinate, come vera e propria intelaiatura del suo pensiero e della quale comprese «più di qualunque altro la profondità e l’originalità». Tello è rimasto così ostinatamente fedele agli insegnamenti e alla tradizione della Chiesa, anche quando a volte sembrava andare in direzioni nuove o inedite, anche quando venne allontanato dall’insegnamento. Lo ha fatto pensando «sempre nella Chiesa – come osserva Enrique Bianchi – preoccupandosi di presentare la sua teologia nell’alveo del Magistero e della ricca Tradizione ecclesiale». Come ogni profeta è stato incompreso da molti del suo tempo e in quella università «che tanto deve al suo ex professore», quella stessa gerarchia che aveva creduto opportuno allontanarlo ne rendeva giustizia facendone «memoria grata» come «dono di Dio alla nostra Chiesa».

Papa Francesco ha interiorizzato molte delle intuizioni teologiche di Tello. In particolare in riferimento alla scelta dei poveri che la Chiesa deve esercitare «non come una forma speciale di carità verso di loro», ma come scelta nella quale è in gioco la fedeltà della Chiesa a Cristo. Tello giunge infatti al cuore di quel che significa optare per il povero non limitandosi alla promozione sociale né a promuovere un’opera di evangelizzazione. L’opzione per i poveri così intesa non consiste anzitutto nell’aiutarli, bensì nell’accettare che attraverso di essi debba fondarsi e stabilirsi il regno di Dio: «Proprio questo Cristo vuole per la Sua Chiesa. E lo vuole in fretta », scrive Tello in La nueva evangelización. Escritos teologicos- pastorales. Questa visione emerge chiaramente nelle considerazioni che si ritrovano in certi passaggi dell’Evangelii gaudium, segno di una affinità elettiva che comprende anche la coincidenza nella pietà mariana, seppure il teologo non viene esplicitamente nominato. Sono intuizioni che si dispiegano nella cornice di un proprio tratto di pensiero.

Bergoglio aveva conosciuto padre Tello a 17 anni. Uno degli ultimi incontri con lui avvenne un mese dopo la sua nomina ad arcivescovo di Buenos Aires. Parlarono lungamente. La relazione Tello-Bergoglio si comprende particolarmente nella corrispondenza che intrattennero. Pochi mesi prima di morire a Luján, il 20 gennaio 2001 Tello aveva scritto queste parole al neoarcivescovo di Buenos Aires: «Per me, il problema più grande della Chiesa argentina è come arrivare a questa immensa maggioranza di cristiani su cui la Chiesa istituzionale non ha presa. Credo che tu abbia la missione provvidenziale di iniziare una riforma nella Chiesa (Buenos Aires? Argentina? Più in là? Io non so). Chiedo a Dio che tu possa compierla».

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