martedì 14 novembre 2017
Ventura si dimette davanti alle telecamere delle Iene, poi la smentita. Il suo futuro si deciderà nel consiglio della Federcalcio. E Tavecchio resterà saldo al suo posto
Ct sconsolato. Gian Piero Ventura non è riuscito nell'impresa, l'Italia non andrà ai Mondiali 2018 (Ansa)

Ct sconsolato. Gian Piero Ventura non è riuscito nell'impresa, l'Italia non andrà ai Mondiali 2018 (Ansa)

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Siamo un Paese di Iene e il suo popolo è convinto che i problemi ormai si risolvono in tv, ovviamente nel programma le Le Iene (Italia 1). Quindi anche la cacciata o le dimissioni del maggiordomo azzurro Edgar, il sosia aristogattesco di Gian Piero Ventura, vengono «promesse» (e poi subito smentite) alle Iene. Ma domani (mercoledì 15 novembre) forse gli toccherà dimettersi davanti al gran consiglio dei federali (assemblea della Figc).

Povero “Gianpi”, ennesima vittima di un calcio italiano che forse sì, è lo specchio del Paese reale. Quindi: confuso e infelice. Come le ultime generazioni, attanagliate dall’incertezza che sfogano tutto sulla piazza virtuale dei social il loro quotidiano «vorrei ma non posso». Il corrispettivo in campo è quel cavallo sbrigliaato sulla fascia di Candreva con il suo ossessivo «vorrei ma non crosso». Dicevamo di Ventura e della terribile sindrome del ct italiano. Vedi azzurro e poi muori, o quasi. Questo sta accadendo da un decennio in qua.

Marcello Lippi fiero nel suo sigaro toscano si fumò la Francia nella finale di Berlino 2006 regalandoci vere notti magiche dopo quelle sfumate ai Mondiali di Italia ’90 e ’94, con in mezzo una finale europea persa contro i cuginastri francesi al golden-gol. Ma poi in Sudafrica Marcello convinto di essere ancora il sosia di Paul Newman ci fece rimediare la “stangata”. Italia eliminata nel girone da tre cenerentole: Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda. Fallimento totale e personale del maledetto toscano che si è rifatto con gli interessi andando missionario - sì come un Matteo Ricci del pallone - in Cina a 20milioni di euro l’anno per allenare il Guangzhou e ora la nazionale cinese. La Cina ci è vicina, fuori dal mondiale pure loro, il Paese che sta facendo la rivoluzione culturale del pallone, anche italiano: prese Milan e Inter con un solo boccone di involtino primavera al ristorante di via Sarpi (alias Chinatown).

«Date a Cesare quel che è di Cesare», si diceva l’estate mondiale di Brasile 2014. Ma nella desertica Mangaratiba (ritiro della Nazionale scelto da lady Prandelli) si consumò il primo radicale scollamento tra squadra e ct. L’eliminazione lampo trasformò Prandelli, il migliore fino ad allora tra i 60 milioni di ct italiani (vicecampione d’Europa nel 2012), nell’uomo dell’«azzurro vergogna», ancor prima del antitetico sponsor Intralot legato alla Nazionale. Prandelli, dopo il maracanazo tricolore si dimise immediatamente e con lui anche il n.1 della Figc, Giancarlo Abete. Oggi accadrà lo stesso? No, Carletto Tavecchio se ne starà ben saldo sulla sua poltrona di gestore unico del baraccone Italia.

Quanto all’ormai triste e solitario Ventura da buon capro espiatorio alla Malaussene magari incasserà la sua buonuscita (ha un contratto da 1,5 milioni fino al 2020, fate voi i conti...) e magari farà come Prandelli: va a rifarsi una vita e una panchina a Dubai. Tanto ormai l’abbiamo capito, fare il ct dell’Italia più perdente del secolo comporta un po’ di titolacci, qualche sfottò populista, ma poi c’è sempre un cinese, uno sceicco o un semplice tycoon de noantri pronto a riciclare l’allenatore nel pallone. Del resto siamo anche il Paese degli Oronzo Canà, e una gran risata seppellirà anche questa disfatta nazionale che fa smettere di cucinare, per un giorno, anche la casalinga di Voghera.


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