venerdì 20 gennaio 2017
A lungo ritenuta una copia e quindi trascurata ora la «Creazione di Adamo» è stata riconosciuta come opera originale del pittore veneziano
La «Creazione di Adamo», tarsia di Capoferri su disegno di Lotto.

La «Creazione di Adamo», tarsia di Capoferri su disegno di Lotto.

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Era appesa in una stanza, come una delle tante opere d’arte del Luogo Pio Colleoni a Bergamo. Una tarsia lignea, con la Creazione di Adamo. Una copia fedele, questa era la tradizione, dell’analoga tarsia di Lorenzo Lotto per il coro di Santa Maria Maggiore realizzata nel Settecento da Giacomo Caniana, membro di una gloriosa dinastia di intagliatori e architetti locali. Fino a quando ha ricevuto uno sguardo meno distratto da parte di due studiosi, Emanuela Daffra e Matteo Ceriana: troppo elevata la qualità esecutiva, e poi un confronto diretto evidenziava non solo un diverso formato ma anche una diversa disposizione delle figure e dei particolari – fatti difficilmente spiegabili nel caso di una copia. E se l’opera non fosse una riproduzione tardiva ma un originale di Lotto e di Giovanni Francesco Capoferri, l’eccellente ebanista incaricato di tradurre nel legno i disegni del pittore veneziano? La tarsia finalmente restituita a Lotto è ora al centro di una mostra all’Accademia Carrara, occasione per radunare – anche con prestiti importanti – opere della fase bergamasca dell’artista e per rilanciare la presenza diffusa di suoi lavori nel territorio.

Nel ricostruire la complessa vicenda del gioiello ligneo i due ricercatori sono giunti alla conclusione che si tratti di una delle tarsie di prova realizzate nel 1523 da Lotto per aggiudicarsi l’importante commissione (proseguita , anche dopo l’addio alla città, fino al 1532 tra alterne vicende perché il pittore lamentava di essere sottopagato). Il che ne spiega l’eccezionale qualità: Lotto non si limita qui a fornire il cartone ma lavora il legno come fosse una lastra da incidere, con una estrema cura del dettaglio e freschezza del segno. Dio Padre gigante, avvolto in mantello scuro come un cielo notturno, chiama alla vita Adamo, lo guarda con compassione e ce lo addita. Alle sue spalle, come un vortice, si sviluppa l’universo, una conchiglia che sembra convergere sull’uomo. Ai piedi del creatore si radunano leoni, orsi, coniglietti e serpenti e guardano come incuriositi il suo gesto. I materiali sono usati in senso pittorico, nei contrasti tra lucido e opaco e con la radica che modella uno spazio astratto e caotico esterno ai cieli tolemaici. Una dimensione visionaria che deve avere colpito profondamente i committenti e che Lotto avrebbe profuso poi, spesso in modo spiazzante, nei cartoni per le altre tarsie.

Il lavoro per Santa Maria Maggiore è il magnum opus di Lotto a Bergamo, dove soggiorna dal 1513 al 1526 lavorando per chiese cittadine e parroci di campagna, patrizi e mercanti, dipingendo affreschi, pale d’altare, opere per la devozione privata, ritratti. Pittore eccentrico, dovette trovare l’habitat ideale nella periferia della provincia: tanto nella ricca Bergamo, lembo estremo della Serenissima, quanto nel pulviscolo di centri delle Marche, terra ultima dello stato pontificio. In Lombardia Lotto si trova in sintonia con gli irregolari locali, a partire dal bresciano Romanino che batte i “circuiti esterni” delle cattedrali padane e delle pievi camune. Sono terre che sembrano attirare i più geniali dei chierici vaganti del-l’arte, visto che tre secoli dopo proprio Bergamo e Cremona saranno due dei poli principali dove troverà accoglienza un profetico outsider come il Piccio. Così anche per Lotto vale la metafora coniata da Testori per il Romanino, di una pittura “dialettale” in contrapposizione a quella accademica. Della lingua aulica praticata in Venezia e in Roma Lotto, però, sembra farne una parodia maccheronica. Un Raffaello e un Tiziano tradotti in un teatrino di pupazzi.

Ben si vede nella magnifica Assunta della chiesa di Celana, una frazione di Caprino Bergamasco: gli apostoli e gli angeli, quasi simulando l’ingenuità di uno humour involontario, paiono modellati da gente semplice ma dei classici ha l’impostazione, la saldezza della costruzione, la raffinatezza del dettaglio; la cinta della Vergine guizza nell’aria come una biscia e proietta la sua ombra sul manto blu mentre la veste rossa è una fiamma di cera; la luce è grandiosa e morbidissima, le vesti hanno una qualità tattile perfetta per essere apprezzata in una terra di tessitori. Anche il Ritratto di Lucina Brambati è dipinto in vernacolo, al punto che ci aspetteremmo di sentire la moglie del mercante parlare con la tipica cadenza bergamasca. Ma l’eccentricità vela anche esercizi di crudeltà. Lotto sembra assecondare i desideri del committente, e insieme lentamente evidenzia il viso sempliciotto, ostenta i gioielli e l’acconciatura come orpelli, lo sguardo si fa intimidito, imbarazzato davanti al pittore. Come se modellasse la lunga gola di Lucina, le sue guance paffute, il naso grossolano sulle forme di un’oca.

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