sabato 8 dicembre 2012
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​Un grande affresco dedicato a coloro che negli ultimi 100 anni, nei modi più diversi, hanno operato per la pace in mezzo alle tragedie delle due guerre mondiali, passando per la guerra d’Algeria e la guerra del Vietnam, fino alle guerre non ancora concluse dell’Afghanistan e dell’Iraq. È questo il senso del volume di Romanello Cantini, Fabbricanti di arcobaleni, appena edito da Jaca Book (pp. 414, euro 28). A Cantini, che è stato editorialista di politica estera di questo giornale oltre che del Giorno, abbiamo chiesto chi siano nello specifico i "fabbricanti di arcobaleni". «Nel libro – risponde – ci sono centinaia e centinaia di nomi per lo più sconosciuti accanto ai pochi grandi nomi notissimi. Sono "fabbricanti di arcobaleni" gli obiettori, gli scrittori che hanno raccontato gli orrori della guerra fin dal primo conflitto mondiale, i partecipanti ai movimenti pacifisti fin dall’inizio del secolo, chi protestò contro i bombardamenti aerei, gli scienziati che cercarono di informare e di fare marcia indietro sulla atomica, i manifestanti in vario modo contro le armi nucleari nella seconda metà del secolo scorso, ecclesiastici e laici che sono stati lezioni viventi di pace, gli organizzatori delle campagne non violente che sono ormai molto più numerose di quelle note di Gandhi e di Luther King, coloro che hanno cercato di fare dell’Onu lo strumento per portare la pace nel mondo secondo il suo progetto originario. Di fronte all’evolversi degli eventi il concetto di "fabbricanti di arcobaleni" tende naturalmente a espandersi anche al di là del gesto e del tradizionalmente consentito. Non si può dimenticare, ad esempio, che la prima guerra mondiale la fecero finire i disertori che sono, per così dire, la manifestazione istintiva, ma di massa dell’obiezione».Questo è un libro di oltre 400 pagine, che ha richiesto tre anni di lavoro. Perché tanto tempo per arrivare alla stesura definitiva e alla pubblicazione?«Prima di tutto c’era la necessità di raccogliere un materiale che non si limitasse alla sola Europa o addirittura al nostro Paese. Ho voluto avere del pacifismo un quadro globale senza il quale è impossibile valutarlo nei suoi effetti sulla nostra storia recente e nel suo destino sul futuro del pianeta. Poi, a mano a mano che raccoglievo tante testimonianze, tanti episodi e tanti movimenti, mi sono accorto che sul tema della pace non si poteva fare solo cronaca, ma si poteva fare addirittura storia dimostrando che almeno l’uomo occidentale è sempre più incapace mentalmente e fisicamente di sopportare una guerra».Nella prima parte del volume si parla di obiezione di coscienza. Uno dei primi obiettori vive adesso, come lei, in Toscana. Mi riferisco a Fabrizio Fabbrini, che viene citato nel libro, e al fatto che il prossimo 15 dicembre verranno ricordati i 40 anni dal riconoscimento legale dell’obiezione al servizio militare.«Il caso di Fabrizio Fabbrini, che obiettò nel febbraio 1965 ebbe una grande eco per una serie di motivi. Si trattava di un iscritto all’Azione cattolica e non del solito testimone di Geova. Aveva riconsegnato la divisa 10 giorni prima di andare in congedo dimostrando che non obiettava per evitare la naia. La sua obiezione e il suo processo in cui fu condannato ad un anno e 8 mesi ebbero molta eco anche perché avvennero in contemporanea quasi con il processo a padre Balducci, che aveva polemizzato con don Stefani per il suo attacco agli obiettori, e con il processo a Don Milani, che aveva scritto la sua famosa lettera ai cappellani militari fiorentini anche loro schierati contro l’obiezione. Fabbrini era in stretti rapporti con Balducci e con Milani. Si può dire che nei suoi confronti anche il tribunale militare si accorse di non avere a che fare con un obiettore qualsiasi, ma con una figura emblematica. Anche per questo, se non ricordo male, il suo processo durò dieci giorni e non solo 15 minuti come succedeva nel giudicare e condannare gli altri obiettori».Ma è possibile che una nazione possa rinunciare a un esercito? «Non si sa e non si racconta, ma in giro nel mondo ci sono già 24 stati che non hanno forze armate. Fra questi, che hanno una polizia, ma non una fanteria o un’artiglieria, ci sono l’Islanda, il Costarica, Panama e Haiti. Ma l’effetto dell’obiezione di coscienza non è stato quello di fare abolire l’esercito, ma di farlo passare, quasi dappertutto, da esercito di leva a esercito professionale». E un mondo senza guerre è pura utopia?«Il libro inizia raccontando quanti europei corsero contenti ad arruolarsi nella prima guerra mondiale. Oggi ai bisnipoti di quei pazzi si dà il Nobel per la pace. Se all’Europa rimane qualcosa da insegnare oggi al resto del mondo è questo handicap degli europei nel fare la guerra. Questo ci consola. Sarà che, insieme ai ricordi, gli anni crescono anche per me, ma mi viene sempre più spesso alla mente ciò che diceva La Pira. "Quando andrò in pensione metterò su un baracchino su cui c’è scritto: Qui si vende speranza"».
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