mercoledì 19 settembre 2018
La scrittrice parla anche per la prima volta della sindrome di Asperger, di cui soffre.
Susanna Tamaro e Pierluigi Cappello, il poeta friulano scomparso il 1° ottobre del 2017 (Pordenonelegge)

Susanna Tamaro e Pierluigi Cappello, il poeta friulano scomparso il 1° ottobre del 2017 (Pordenonelegge)

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Il libro si sarebbe dovuto intitolare A Sparta non nascono poeti. Creature troppo fragili, segnate da un’irrequietudine che non corrisponde ai requisiti di una società dove «tutto deve essere livellato, tutto abbassato fino a equipararsi all’andamento linearmente monotono di un encefalogramma piatto».

Così scrive Susanna Tamaro nel suo nuovo libro, Il tuo sguardo illumina il mondo (Solferino, pagine 208, euro 16,50, disponibile da domani), che di quel progetto mai realizzato rappresenta la prosecuzione. Anzi, no: è proprio lo stesso libro, anche se uno dei due autori, Pierluigi Cappello, non ha materialmente lavorato al testo. È presente in ogni frase, però, in ogni riga di questa lunga lettera che si annuncia come un dialogo e poi, lentamente, si rivela per quello che è: una confessione resa possibile dal rispecchiamento nel volto dell’altro.

Non era un segreto, l’amicizia fra Tamaro e Cappello, fra la narratrice best seller di Va’ dove ti porta il cuore e il poeta che molti hanno scoperto una decina di anni fa grazie ad Assetto di volo e Mandate a dire all’imperatore. Quelle raccolte, edite da Crocetti, erano il frutto maturo di un’avventura che era cominciata da tempo e nella quale il nodo fra la parola e la vita si era fatto tanto stretto da risultare ormai inestricabile.

Parola, ripetiamo, e non letteratura, perché la poesia di Cappello precede la letteratura e nello stesso tempo la sopravanza per urgenza, esattezza, trasparenza. «Per molti mesi i tuoi versi hanno accompagnato le prime ore delle mie giornate», ricorda ora Susanna Tamaro: «Ogni mattina, infatti, prima di farmi avvolgere dal turbinio delle non-parole, amo immergermi in parole luminose». La ricerca di una chiarezza interiore sostenuta dai ritmi di un’esistenza spoglia ed essenziale è il tema ricorrente del libro. Che è la storia di un’amicizia, appunto, e proprio per questo è la storia di un incontro, di una scoperta.

Lei nasce a Trieste nel 1957, lui nel 1967 a Gemona del Friuli, ma cresce a Chiusaforte, la stessa località che rappresenta un’imprevista oasi di quiete nelle tormentate memorie d’infanzia della stessa Tamaro. Una coincidenza o, meglio, un segno, uno dei tanti che si rincorrono in Il tuo sguardo illumina il mondo . A Trieste, per esempio, Pierluigi frequenta l’istituto tecnico Malignani, Susanna le magistrali al Percoto. Le scuole sono abbastanza vicine tra loro e, se non ci fosse stata di mezzo la solita sfasatura temporale magari i due si sarebbero potuti incontrare prima, diventare amici più presto, riconoscersi con lo stupore ingenuo dell’adolescenza.

Succede tutto un po’ più tardi, invece. Lei è già una scrittrice affermata, anche se ingiustamente osteggiata e spesso incompresa, mentre lui è da tempo costretto sulla sedia a rotelle per le conseguenze di un incidente di cui è rimasto vittima all’età di sedici anni. La ferita del poeta è evidente, esposta, quella dell’amica si è trasformata in una cicatrice che lei stessa cerca di ignorare. Si assomigliano per sensibilità e anche per quelle che potrebbero sembrare stranezze (Cappello è un appassionato conoscitore di aeroplani, Tamaro una naturalista istintiva, che distingue a colpo d’occhio piante, animali e insetti), ma divergono per provenienza familiare, e questo non è un dettaglio da poco. Bambino amato, Pierluigi ha avuto un padre che «era ancora un padre», come annota Susanna Tamaro.

Sotto questo aspetto, Il tuo sguardo illumina il mondo spinge ancora più in là il percorso di consapevolezza iniziato con Ogni angelo è tremendo, il resoconto autobiografico del 2013 nel quale ciò che in Va’ dove ti porta il cuore era alluso attraverso lo schermo della finzione veniva apertamente rievocato con lucidità da cronista. Il padre assente, la madre infelice, l’affetto della nonna, la difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo: a questi elementi in parte già noti (ma che nel nuovo libro vengono riferiti con precisione abbacinante) se ne aggiunge un altro, decisivo.

«Soffro della sindrome di Asperger – rivela Susanna Tamaro –, è questa la mia invisibile sedia a rotelle, la prigione in cui vivo da quando ho memoria di me stessa». Diagnosi tardiva, questa del disturbo dello spettro autistico, arrivata dopo quasi sessant’anni di umiliazioni e sofferenze, di crisi inspiegabili e intollerabili angosce. « Dentro di me ogni mattina apparecchio una tavola – spiega la scrittrice –. C’è molto ordine nel mio disporre le stoviglie, prima il piatto, poi il bicchiere, il pane, le posate ai lati, in mezzo al tavolo la brocca dell’acqua, magari vicino un piccolo vaso con un fiore. Poi qualcuno, all’improvviso, dà un violento strattone alla tovaglia e tutto vola a terra con gran frastuono di metallo, cocci e vetri».

La scrittura è un modo per rimettere in sesto la realtà, per restituirle senso, e in fondo poco importa che lo strumento di cui ci si serve sia la prosa o la poesia. Importa piuttosto che si arrivi allo stesso punto. Imprevedibile e diverso per ciascuno, ancora una volta, ma misteriosamente uguale per tutti. Per i due amici, forse, l’istante perfetto di verità e di pena si è manifestato negli ultimi giorni di vita di Pierluigi, morto il 1° ottobre dello scorso anno dopo una lotta coraggiosa e serrata contro «il Maligno». È questo il modo in cui lo chiama Susanna Tamaro, con una non casuale sfumatura teologica. Lei è credente, anche questo non è un segreto.

Lui, in ospedale, si ripropone di accostarsi di nuovo all’Eucarestia. «Non c’era paura né un umano bisogno di conforto nelle tue parole. Piuttosto il ricomporsi di una visione», si legge in Il tuo sguardo illumina il mondo . Sono i passaggi più alti del libro, i più semplici e belli. Come accade tra amici, Susanna coglie nell’aria un richiamo silenzioso, accorre al capezzale di Pierluigi senza che nessuno l’abbia avvisata dell’agonia ormai irreversibile. Comincia un dialogo fatto di minuzie, di parole taciute, di sguardi trattenuti: «I tuoi occhi erano sempre più simili a quelli di un neonato, sospesi tra due dimensioni. Ho preso allora la tua mano tra le mie e ti ho detto: “La poesia illumina il mondo”. Poi mi sono alzata, posando sulla tua cara, amatissima fronte il lungo bacio di una madre ». Il resto è attesa, come sempre. La speranza – e la certezza – di sentire di nuovo quella voce, di essere consolati nell’avvertire da lontano i passi dell’amico che, finalmente, è tornato a trovarci.


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