sabato 21 luglio 2012
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Nelle ultime settimane sulla stampa italiana sembra essersi inaspettatamente aperto un nuovo "caso Szymborska". Non si tratta di uno strascico delle riflessioni sullo straordinario record di vendita registrato dalla poetessa polacca in Italia (anche grazie alla lettura dei suoi testi da parte di Roberto Saviano a "Che tempo che fa" dopo la sua morte, nel febbraio scorso), ma di un discorso sul trasformismo degli intellettuali. Prendendo spunto da note apparse recentemente su "Panorama" e "Il Giornale", Pierluigi Battista sul "Corriere della sera" l’ha chiamata in causa centrando su di lei un ampio articolo, dal titolo molto simile a quello di un suo libro del 2007: Cancellare le proprie tracce. In versi. La poetessa polacca sarebbe rea di aver nascosto le proprie poesie dedicate a Lenin e alla morte di Stalin.Per motivare le accuse si citano due grandi scrittori dell’est che hanno riflettuto sulla complicità degli intellettuali con lo stalinismo: il ceco Milan Kundera e il poeta polacco Czeslaw Milosz, autore della Mente prigioniera, scritta nel ’51 e pubblicata in Italia da Adelphi. Si dimentica però che anche lo stesso Kundera ha scritto poesie staliniste e che il pamphlet di Milosz, composto in piena guerra fredda, non è privo di componenti autobiografiche e ritrae letterati ai vertici della Nomenklatura intellettuale stalinista: gli amici di un tempo che lo consideravano ormai un traditore. Non è il caso quindi estendere i suoi giudizi ai molti giovani intellettuali sostenitori dello stalinismo - la generazione della Szymborska, nata nel ’23 - che occupavano ruoli di scarso conto. Bisogna invece considerare che, dopo l’apocalisse della guerra, con la sua duplice occupazione tedesca e sovietica, dopo le due tragiche insurrezioni e il tradimento di Yalta, per molti di loro il mito di uno stato socialmente equo e dell’Urss-baluardo antifascista appariva l’unico antidoto alla disperazione e al nichilismo. Ne era cosciente lo stesso Milosz, che ha sempre distinto i singoli casi (e cause) e che ha fatto conoscere Szymborska dall’esilio americano, senza mai scrivere su di lei una sola parola di biasimo.È inoltre ampiamente noto che la poetessa non ha occultato né la passata appartenenza al partito (fino al 1966) né tanto meno "sepolto" (come si è scritto) le raccolte poetiche del periodo stalinista, tuttora conservate in molte biblioteche polacche. «Appartenevo alla generazione che credeva. Io credevo. Quando ho smesso di credere ho smesso di scrivere quelle poesie», aveva dichiarato nel ’91. Esse sono citate dalle sue biografie (tra cui quella di Joanna Szczesna e Anna Bikont Cianfrusaglie di memorie. Amici e Sogni, che varrebbe la pena di tradurre!), dalle introduzioni del suo traduttore Pietro Marchesani, dal Web, in primis Wikipedia. Fin dal conferimento del Nobel, proprio a causa di quel suo passato, Szymborska è stata attaccata da molti in Polonia: quindi non ha senso parlare di rivelazioni che provocano "imbarazzo". L’Europa non è più divisa in due e non si può far finta di ignorare ciò che è già accaduto nei Paesi dell’ex blocco sovietico, tirando fuori dal cappello vecchie informazioni e contrabbandandole per nuove.L’articolo di Battista afferma inoltre che per conoscere l’opera di uno scrittore è necessario averne presente l’intera produzione, compresa quella che potrebbe essere oggetto di censura e biasimo. Alla ricerca di simmetrie, si accosta Szymborska a Günter Grass, che per anni ha occultato la propria partecipazione giovanile a un reparto di Ss. Non pare quindi cogliere alcuna differenza tra una scelta politica (tenuta celata, nel caso di Grass) e la stesura di un testo letterario. I versi su Stalin e Lenin della poetessa sono ancora oggi consultabili anche in vari siti web e lei non si è mai sognata di censurarli, ha scelto solo - come era suo diritto - di non ripubblicarli… Essi sono anche oggettivamente retorici e brutti: secondo i suoi accusatori italiani avrebbe dovuto inserirli comunque nelle edizioni antologiche delle sue poesie?Evidentemente chi mette Szymborska sul banco degli imputati non è  particolarmente amante della poesia, perché parlando di una scrittrice schiva, che non amava pronunciarsi in dichiarazioni pubbliche, non ha creduto necessario sfogliare i suoi libri e ascoltare la sua stessa voce. Sarebbe bastato aprire una qualsiasi delle sue raccolte e leggere Riabilitazione, una poesia di oltre cinquant’anni fa (dal volume Appello allo Yeti, 1957, cito dall’edizione Adelphi, 2009 p. 63), che è una sofferta autocritica del suo coinvolgimento politico e morale sotto lo stalinismo, in particolare della sua partecipazione, insieme a decine di altri intellettuali, a una campagna di stampa contro alcuni sacerdoti polacchi, accusati di spionaggio in un processo farsa nel 1953:n «È tempo di prendersi la testa fra le mani / e dirle: - Povero Yorick, dov’è la tua ignoranza, / la tua cieca fiducia, l’innocenza, il tuo "s’aggiusterà", l’equilibrio di spirito tra la verità verificata e quella no? / Li credevo indegni dei nomi / Poiché l’erbaccia irride i loro tumuli ignoti / E i corvi fanno il verso, e il nevischio schernisce / e invece, Yorick, erano falsi testimoni. / L’eternità dei morti dura / Finché con la memoria viene pagata. / Valuta instabile. Non passa ora / Che qualcuno non l’abbia perduta / Oggi in materia sono più colta / Essa può essere concessa e poi tolta / (…)».
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