venerdì 25 marzo 2022
Costruito assemblando suoi articoli e interventi con brani narrativi, l’ultimo libro della scrittrice è un testo di denuncia di inganni e ipocrisie che distolgono dalle vere ragioni della vita
Susanna Tamaro

Susanna Tamaro - Ansa

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Non c’è niente da fare: l’autore è sempre il più interessante dei personaggi che popolano la sua opera. E lo è tanto di più quanto meno si mette in mostra, evitando le scorciatoie dell’autobiografismo spicciolo e anche un po’ pettegolo. Sono gli scrittori e le scrittrici recalcitranti, infatti, i più inclini a far affiorare qualcosa di segreto e sostanziale: a volte un episodio del passato, più spesso un punto di vista irriducibile, una visione del mondo che si è indotti a condividere con slancio, almeno fino a che dura il tempo della lettura. Poi magari viene da puntualizzare o da eccepire, ma intanto, con lo sguardo sulla pagina, il fascino esercitato dall’autore-personaggio è tale da provocare un’immedesimazione diretta, quasi ipnotica. Si è conquistati da quella voce, la si ascolta volentieri e si fa fatica a distaccarsene.

I pifferai magici. La spensierata corsa dell’umanità verso l’abisso (Lindau. Pagine 144. Euro 13,50) di Susanna Tamaro, per esempio, è un libro abbastanza breve, ma lascia il desiderio, una volta arrivati al termine, di saperne di più. Costruito attraverso l’assemblaggio di articoli pubblicati sul "Corriere della Sera" e di interventi pronunciati in varie circostanze, è una sorta di romanzo-confessione che si presenta sotto le mentite spoglie di un saggio. Il che non toglie che lo stile argomentativo sia serrato e impeccabile, per quanto innervato da un’ironia divertita e pungente. Ma il meglio di sé Tamaro lo dà negli scorci narrativi, sia quando si concede il ruolo di protagonista, sia quando il racconto si sviluppa sotto forma di apologo morale.

È il caso, nella fattispecie, della vicenda - foscamente profetica - dello "Scimpauomo", la creatura chimerica immaginata dal biologo russo Il’ja Ivanov, che negli anni Venti condusse numerosi esperimenti nel tentativo di dare vita a un ibrido tra esseri umani e primati. Impresa orribile e grottesca, che Tamaro ripercorre con il consueto, ingannevole distacco, fino ad affondare una memorabile stoccata ai danni della mentalità corrente: «L’idea che il fine di ogni vita sia la felicità osserva - e che tutto sia giustificato in nome dell’amore è una delle perversioni del pensiero postmoderno, oltre che uno dei chiari sintomi della condizione più che crepuscolare del mondo occidentale». Si parla di maternità surrogata, è chiaro, ma mai come in questa occasione la parte sta per il tutto.

Di capitolo in capitolo, il percorso dei Pifferai magici passa in rassegna i luoghi comuni di un’epoca nella quale la narratrice di Va’ dove ti porta il cuore non si è mai sentita del tutto a suo agio. Troppo rumore di fondo, troppa confusione sul compito della scienza, troppa ipocrisia sulla mancata distinzione tra bene e male. In questione non c’è un impossibile ritorno al passato, ma la riconquista di un rapporto consapevole e coraggioso con la natura. Il coraggio, in un certo senso, viene prima ancora della consapevolezza, perché la natura descritta da Tamaro non ha nulla di addomesticato o consolatorio (torna in mente il celebre brano dello Zibaldone in cui Leopardi smaschera la violenza annidata nei recessi di un giardino).

Eppure, proprio per questo, è il segno di un destino, che è la parola decisiva in tutti i libri della scrittrice triestina. Una dose qualificata di intransigenza austroungarica sopravvive, tra l’altro, nelle ricorrenti invettive ai danni della burocrazia che costellano I pifferai magici, a conferma di un rigore interiore che si rivela implacabile nel momento in cui entra in gioco la dimensione dell’infanzia. Nemica di ogni sentimentalismo, Tamaro non esita a prendere le difese dei "bambini/cassonetto", sui quali la società scarica brutture di ogni tipo, ostinandosi a rimanere indifferente davanti alla crescente emergenza del disagio psicologico. «La domanda sul destino - avverte la scrittrice - è la domanda stessa sul nostro compimento». Esattamente a questo cercano di distoglierci i molti pifferai che però, visti da vicino, non sono neppure così magici.

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