mercoledì 25 luglio 2012
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​«Se non vinco anche qui non divento una leggenda». Usain Bolt vuole essere nell’atletica quello che nella musica è stato Bob Marley, del quale porta l’immagine sulla maglietta nera che indossa sotto al giubbotto che la figlia del re del reggae, Cedella Marley, ha disegnato per la squadra olimpica della Giamaica. Il primatista del mondo della velocità irrompe sulla scena di Londra 2012, confidandosi in esclusiva al “Sun” e facendo capire che non basta avere vinto tre ori a Pechino 2008, stabilendo altrettanti primati del mondo (100, 200 e 4X100), per fare di lui un mito delle Olimpiadi e dell’atletica. Bisogna spingersi oltre i propri limiti e soprattutto fare il bis a quattro anni di distanza. «Può capitare a chiunque – afferma Bolt – di vincere un’Olimpiade, ma ciò non basta per essere considerato uno dei più grandi atleti. Ci devi riuscire di nuovo, se vuoi staccarti dalla massa». Ecco perché ha in mente solo il bis di Pechino in terra britannica, battendo gli scetticismi (Sports Illustrated lo dà perdente nei 100), i problemi alla schiena e quel Yohan Blake che lo ha preceduto ai Trials giamaicani e con il quale domenica scorsa è andato a vedere l’ultimo episodio della serie di Batman in una cinema di Birmingham, dove i giamaicani si trovano in ritiro blindato nel campus universitario cittadino. Così dovrebbe essere Londra a consacrare, definitivamente, il fenomeno la cui immagine campeggia a Carnaby street (dove c’è il negozio dello sponsor tecnico della Giamaica), sui bus rossi a due piani e nella stazioni della metro. Per non parlare dei cartelloni pubblicitari. Mentre miriadi di visitatori si mettono in fila per farsi la foto accanto alla statua di cera dell’uomo più veloce del mondo appena collocata nel museo di Madame Tussaud. C’è anche chi si esercita, soprattutto bambini, su quei marciapiedi della città sui quali è stata “segnata” una striscia di dieci metri da correre, come da slogan, in meno di un secondo, a imitazione della stella delle Olimpiadi. Per Usain, invece, quelli in terra britannica potrebbero essere gli ultimi sprint brevi. «I fan pensano sempre ai 100 – spiega – però io preferisco i 200. Ma in Brasile, quando compirò 30 anni, potrei dedicarmi ai 400 e al salto in lungo. Successivamente gareggerò ancora per una stagione, e poi sarà finita. A 32 anni non correrò più: potrebbero offrirmi 50 milioni di dollari ma non mi farebbero cambiare idea, smetterei comunque». I suoi traguardi diventeranno altri, «perché Alex Ferguson non mi ha mai visto giocare, quindi non si sa mai. Non credo che nel Manchester United – scherza da tifoso dei Reds – ci sia qualcuno più veloce di me». Magari, nella vita, ci sarà anche la possibilità di “fare gol” in anticipo. «Un giorno voglio sposarmi – spiega – ma non avverrà prima del mio ritiro dall’atletica. Invece, nel frattempo, vorrei dei figli, forse anche dopo le Olimpiadi». Nel caso sia maschio tutti parlerebbero di un nuovo uomo-lampo, «ma io vorrei che facesse il calciatore. Se corresse, dal momento in cui potrà stare in piedi tutti gli chiederebbero di essere il più veloce del villaggio». Quello è un ruolo che spetta al Bolt di oggi, l’uomo che vuole diventare leggendario come Bob Marley.
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