lunedì 13 gennaio 2020
L’architetto del Bosco Verticale: «La forestazione delle città è un contributo semplice e pratico alla cura del pianeta e può porre un argine ai rischi di un futuro di disuguaglianze»
L'architetto Stefano Boeri

L'architetto Stefano Boeri - Gianluca Di Ioia

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Città-foreste dove la vegetazione popola gli edifici, e non solo costruisce un nuovo habitat per l’uomo ma contribuisce in modo attivo alla cura e alla salvezza del pianeta. «Piantare alberi è una soluzione pratica, rapida ed economica per ridurre la CO2» spiega Stefano Boeri, il cui Bosco Verticale a Milano è diventato il manifesto di «un nuovo patto tra natura e città», esteso a progetti urbanistici in tutto il mondo. L’architetto questa sera (ore 19) sarà a Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano per discutere con il cardinale vicario Angelo De Donatis sul tema “La radice umana della crisi ecologica” all'interno del ciclo di incontri "Insieme per la nostra casa comune" promosso dalla diocesi di Roma attorno ai temi dell'enciclica Laudato si'.

Celentano qualche anno fa cantava che “la più grande sciagura sono gli architetti”. Quali sono le responsabilità, anche in prospettiva, della professione?

«L’architettura e l’urbanistica hanno la possibilità e l’onere di anticipare un futuro possibile. Hanno responsabilità gigantesche ma allo stesso tempo interpretano e declinano le grandi forze che trasformano lo spazio, governate dalle leggi economiche e sociali e orientate dalla politica. Oggi siamo in una situazione credo unica, nella quale l’anticipazione del futuro si misura con un momento della storia in cui forse per la prima volta le scelte nella vita quotidiana hanno una diretta relazione con l’evoluzione del pianeta. Quando si costruisce una città è per secoli, ma comincia a esserci il forte dubbio che questi secoli possano non esserci. Dal mio punto di vista il modo di anticipare il futuro attraverso architetture muscolari, e lo dico anche da un punto di vista positivo, oggi risulta abbastanza fragile per cui preferisco pensare alla “Grande Muraglia” di alberi, lunga ottomila km, che i Paesi africani stanno costruendo per arginare la desertificazione».

Urbanistica e politica condividono la stessa radice: “città”. Urbanistica è politica?

«Ogni atto politico modifica lo spazio. La differenza sostanziale è che l’urbanistica e l’architettura tendono in modo autoreferenziale all’obiettivo progettuale mentre la politica lavora in senso orizzontale, crea le condizioni. Sono due processi complementari che dovrebbero andare a braccetto, con l’obiettivo di trasformare un’idea astratta in uno spazio concreto. La politica dovrebbe avere una grande attenzione alla disciplina dello spazio per essere efficiente».

Ma un architetto oggi può indirizzare la politica?

«Il Bosco Verticale è anche un manifesto politico, ed è forse il suo valore più grande. Il messaggio è che oggi non ci può essere più un’architettura a prescindere dalla presenza del mondo vegetale. È un messaggio più generale rispetto alla città, che ha bisogno ovunque degli alberi. Dobbiamo cominciare a porci il problema di metropoli in cui la foresta è una presenza costante, diffusa ovunque. Le definizioni del futuro prodotte dall’urbanistica sono o nel senso dell’utopia o nel senso di regole che valgono per tutti. Oggi dovremmo trovare un punto di incontro tra utopia e sistema, tra regole, valide per tutti in modo coinvolgente e positivo, e una visione: che non è mai come una costruzione collettiva ma per forza di cose nasce dalla dimensione creativa di una persona».

Il Bosco Verticale in progetto al Cairo

Il Bosco Verticale in progetto al Cairo - Stefano Boeri Architetti

Come entra la dimensione economica in questo aspetto? Senza grandi forze finanziarie questo obiettivo non si raggiunge, ma il rischio della speculazione non è remoto.

«È un tema fondamentale, le risorse economiche del mondo privato sono imparagonabili rispetto alla finanza pubblica. Ma la questione vera è il concetto di responsabilità che in questo momento, più che alla coerenza tra intenzione e azione, è legato al rapporto le azioni e le loro conseguenze. Credo che il grado di civismo e di attenzione sociale delle imprese si basi su questo aspetto. Non possiamo fare a meno di coinvolgere, dalle grandi multinazionali alle piccole medie imprese. Il pubblico deve avere la capacità di orientare il privato perché si ponga il problema di essere cosciente degli effetti di quello che fa».

Il rischio, però, è che l’architettura sostenibile, visti anche i costi, si affermi come un fenomeno di élite, creando nuove disugualianze.

«Tutto il nostro lavoro in questi ultimi cinque anni è andato nella direzione di immaginare e progettare edifici alti con il verde e le piante in facciata, smart e accessibili a tutti. Ogni manifesto è un momento eccezionale che richiede grandi sforzi, creativi e di investimento, e così è stato anche per il Bosco Verticale, costruito grazie a operatori illuminati come Manfredi Catella che hanno accettato i rischi e costi. Le ricerche che abbiamo fatto sui materiali, sul modo per ancorare le piante nei vasi per evitare che il vento le spazzi via, le tecnologie di manutenzione, tutto è stato molto dispendioso. Ma grazie a ciò che abbiamo imparato a Milano oggi ad Eindhoven stiamo costruendo un Bosco Verticale a indirizzo sociale e in Cina stiamo progettando edilizia popolare. Inoltre lavoriamo a un prototipo con struttura in legno, che intendiamo presentare al prossimo Salone del mobile».

Render della Smart Forest City di Cancun, in Messico

Render della Smart Forest City di Cancun, in Messico - Stefano Boeri Architetti / The Big Picture

È sufficiente che una città sia ecologica perché sia anche etica?

«Se uniamo i potenziali effetti dell’automazione, che è l’altro grande vettore di sviluppo, a quelli dei cambiamento climatico possiamo costruire scenari estremamente preoccupanti, come quello in cui un’élite dotata di risorse per governare la tecnologia sarà autosufficiente e si costruirà “mondi” indipendenti e protetti, mentre la stragrande maggioranza della popolazione diventerà inutile e poverissima. È una nuova forma di totalitarismo che si affaccia all’orizzonte. Dobbiamo cercare di fare l’opposto, in modo inclusivo, far sì che l’innovazione tecnologica diventi una forma partecipata di controllo sull’innovazione nella vita quotidiana».

In un certo senso, dietro tutto questo c’è in gioco la democrazia.

«Sì. Anche perché si potrebbe davvero pensare che oggi servano grandi scelte autoritarie: ad esempio la Cina a Pechino e Shanghai ha decentrato tutte le industrie per ripulire l’aria. Ha ottenuto l’effetto: ma a discapito di chi? Il cambiamento climatico colpisce chi non è in grado di difendersi, ovvero i poveri e le periferie del pianeta. Sono 150 milioni i profughi previsti entro il 2050 a causa del cambiamento climatico. Il futuro è possibile solo se cambia la mentalità collettiva. La forestazione viaggia in questo senso. L’Etiopia l’estate scorsa ha annunciato di avere piantato 350 milioni di alberi in un giorno. Mi sembra un’immagine efficace».

Il progetto del fiume verde a Milano: il programma ForestaMi ha come obiettivo la piantumazione di 3 milioni di alberi entro il 2030

Il progetto del fiume verde a Milano: il programma ForestaMi ha come obiettivo la piantumazione di 3 milioni di alberi entro il 2030 - Stefano Boeri Architetti

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