sabato 7 maggio 2016
​Cresce il numero degli appartenenti alla Chiesa di Roma nel sistema politico statunitense
Stati Uniti, la lunga marcia dei cattolici
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Come mai i cattolici hanno così successo nella... Cia? Se lo chiede, curiosamente ma non troppo, il settimanale britannico “Catholic Herald” nel suo ultimo numero, ricordando come uno dei nomignoli della principale agenzia di intelligence degli Stati Uniti sia diventato “Catholics in action”. Non solo, infatti, tra gli ultimi cinque direttori della Cia si contano tre cattolici – Michael Hayden, Leon Panetta e l’attuale, John Brennan – ma guardando al passato non sono pochi i cattolici che hanno raggiunto il vertice di un organismo cruciale per la sicurezza della superpotenza a stelle e strisce. E in passaggi delicati della sua storia. Si tratta di figure come Walter Bedell Smith, John McCone, William Colby o William Casey, che non erano tra l’altro cattolici solo per il registro parrocchiale ma assidui “praticanti”.Per dare una risposta a una domanda più ampia ma che comprende quella del “Catholic Herald”, e per darle un inquadramento storico, Manlio Graziano – docente di geopolitica delle religioni alla American Graduate School di Parigi e all’Istituto di studi geopolitici di Ginevra – ha scritto un libro da poco pubblicato dal Mulino, "In Rome we trust. L’ascesa dei cattolici nella vita politica degli Stati Uniti" pagine 242, euro 22,00. Il punto di partenza di Graziano, del tutto fondato, è che nella mole di studi sugli Usa dal punto di vista sociale, politico e anche ecclesiale è passato relativamente sotto traccia l’aumento del peso dei cattolici nel cuore del potere americano. La loro sovraesposizione è stata quanto mai evidente sotto la duplice presidenza Obama, che ha annoverato fra i cattolici: il vicepresidente, il capo di gabinetto nel secondo mandato, il consigliere alla sicurezza nazionale (2010-2013), entrambi i consiglieri alla sicurezza interna, entrambi i presidenti della Camera dei rappresentanti (uno democratico nel 2008-2012 e uno repubblicano dal 2013), il leader dei democratici della Camera, il direttore e il vicedirettore dell’Fbi, il capo di stato maggiore (una posizione che viene cambiata frequentemente, ma Obama ne ha nominati due, entrambi cattolici), il comandante dei marines e il capo di stato maggiore dell’aviazione. Senza dimenticare che la percentuale dei membri cattolici del Congresso era del 31% all’inizio del 2015, quella dei governatori cattolici del 38% e che cattolici sono attualmente ben sei giudici su nove della Corte suprema.Sono dati che colpiscono se si pensa innanzitutto alle radici progetto politico degli Usa, a quella “Città sopra la collina” che i puritani del Mayflower vollero costruire con afflato biblico e che aveva un tratto distintivo: non doveva avere nulla a che fare, neanche di striscio, con il cattolicesimo. Basti un dettaglio storico: fino alla Dichiarazione d’indipendenza, scrive Graziano, e in alcuni casi anche oltre, in tutte le colonie per la festa del 5 novembre in ricordo del fallito «complotto cattolico» del 1605 per uccidere il re Giacomo I, una sfilata carnascialesca si concludeva con il falò dell’effìgie del Papa in tutte le colonie e con il lancio di fuochi artificiali simboleggianti «spiriti papisti sprigionati dal basso».Il cambiamento dei rapporti di forza inizia nell’Ottocento per un fattore ora di stretta attualità anche in Europa: l’immigrazione. Milioni di irlandesi, tedeschi, polacchi e italiani si riversano a ondate negli Usa, contribuiscono al boom demografico e industriale e portano con sé un bagaglio invisibile ma ingombrante, quello della fede. Non è solo una questione di aumento numerico – già nel 1860 un quarto della popolazione di New York era nato in Irlanda e un sesto in Germania. Graziano ricostruisce in sintesi, ma con precisione, lo sforzo missionario titanico della giovane Chiesa Usa, con la nascita di una rete di scuole innanzitutto, da quelle primarie fino alle università, di ospedali, di gruppi di mutuo aiuto, di sindacati eccetera. E, insieme, il rapporto conflittuale con istituzioni che restano a lungo segnate da un anticattolicesimo di fondo, con la diffidenza verso un popolino obbediente a un “sovrano” straniero. È una vera epopea quella di una moltitudine di sacerdoti, religiosi e laici che in territorio ostile forgiano una delle più robuste Chiese nazionali della cattolicità, che alla fine dell’Ottocento diventa una delle principali “finanziatrici” della Chiesa universale. Nel corso del Novecento i fedeli crescono ulteriormente: oggi i cittadini degli Usa sono stati battezzati per circa un quarto nella Chiesa cattolica. Salgono poi di gradino in gradino la scala sociale: la loro presenza si concentra attualmente negli Stati più ricchi e dinamici della federazione e il cattolico americano medio, secondo numerosi rilevamenti, è più istruito dell’americano medio. I cattolici arrivano a trovarsi, insomma, in una posizione avvantaggiata per l’accesso al “potere”. Ma se questo è un motivo comprensibile per la loro ascesa nella vita politica, non sembra del tutto sufficiente, perché il “potere” ha filtri e meccanismi di selezione che non riflettono la composizione etnica e religiosa della società. L’autore avanza quindi una tesi suggestiva: gli Usa sarebbero in una fase di relativo declino, avviati a perdere in molti ambiti una leadership indiscussa nel corso del Novecento; sarebbero di fronte, come l’Occidente in generale, a una trasformazione interna di valori e fondamenti etico-sociali che hanno garantito nei secoli il tessuto civico; e di fronte a tutto ciò il cattolicesimo sarebbe diventato, più o meno consapevolmente, una sorta di riserva morale. Oltre che, più prosaicamente, una riserva cruciale di voti. L’idea però che l’establishment voglia semplicemente “ingraziarsi” in qualche modo l’elettorato cattolico vale fino a un certo punto, perché l’ascesa cattolica è visibile non tanto nelle figure apicali della politica – l’unico presidente cattolico finora è stato Kennedy e il solo vicepresidente è l’attuale Joe Biden; della tornata di recenti candidati alla Casa Bianca, l’unico cattolico è stato l’effimero Marco Rubio – quanto nei gangli delle istituzioni. L’idea del cattolicesimo come “riserva morale” sarebbe avallata, invece, dalla compattezza della Chiesa romana, che la renderebbe una realtà più solida, affidabile e identificabile rispetto ad esempio al cristianesimo evangelical, la cui rilevanza nel Paese, a detta dell’autore, sarebbe notevolmente sovrastimata e che starebbe comunque vivendo una sorta di “riflusso” rispetto all’età aurea degli anni 70.È uno scenario appunto suggestivo, ma che, se fosse vero, porrebbe i cattolici di fronte a una sfida non meno rischiosa e complessa di quando erano una minoranza perseguitata. Il volto che il “potere” Usa mostra al mondo non è spesso, per loro, dei più rassicuranti.
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