giovedì 29 agosto 2013
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Una drammatica odissea alla deriva nello spazio profondo per raccontare il viaggio della vita di ogni uomo alle prese con pericoli e avversità. Gravity di Alfonso Cuarón inaugura fuori concorso, tra gli applausi della stampa e del pubblico, la 70esima Mostra del Cinema di Venezia spedendo in missione stellare Sandra Bullock e George Clooney, che ieri al Lido sono apparsi in splendida forma. Il film, distribuito nelle sale da Warner il prossimo 3 ottobre, racconta infatti la prima passeggiata nello spazio della dottoressa Stone e l’ultima dell’astronauta Kowalsky che in seguito alle conseguenze della distruzione di un satellite perdono il proprio shuttle e restano collegati tra loro a fluttuare nello spazio. Ce la faranno a tornare a casa? Questo è quello che si chiede lo spettatore per novanta minuti, sopraffatto come l’inesperta dottoressa dal terrore di trovarsi ingoiato dall’oscurità e dall’ignoto. E se Kowalsky non perde occasione per ammirare l’incanto della Terra vista da così lontano, la Stone in preda al panico consuma a grandi sorsate tutto l’ossigeno a disposizione. Sarebbe davvero un peccato anticiparvi le sorti dei due protagonisti che come Robert Redford, solo in mezzo al mare nel film All is Lost presentato allo scorso Festival di Cannes, cominciano a fare i conti con la propria esistenza. Scopriamo così che la dottoressa non ha ancora superato il dolore per la perdita della figlioletta e forse la morte non è una prospettiva così catastrofica per lei. Lei, scienziata razionale, avrebbe voglia di pregare, ma nessuno le ha insegnato come fare. Poi però qualcosa accade e la donna ritrova la voglia di lottare per la sopravvivenza, pronta a una rinascita che la porterà a muovere i suoi primi nuovi passi sulla terra come fosse un bambino che impara a camminare. E così un’esperienza agghiacciante si trasforma in un liberatorio inno alla vita. «È chiaro che costruire una storia in un ambiente ostile come lo spazio – commenta il regista, che ha sceneggiato il film insieme al figlio Jonas – significa attribuirle una dimensione metaforica. A un certo punto della propria esistenza ogni uomo è chiamato a liberarsi della bolla in cui vive, a confrontarsi con se stesso accettandosi e acquistando una consapevolezza che spesso conduce a un nuovo inizio». «Le avversità ti mettono alla prova – continua Clooney, che ha comprato una spia su un satellite per controllare le atrocità commesse nella regione sudanese del Darfur, per la quale è da tempo impegnato –, sono un ottimo test per il carattere e ci insegnano a reagire. La cosa più difficile sul set? Muoversi con estrema lentezza, in assenza di gravità, e parlare velocemente. Una follia!». E Sandra Bullock, che nel film sfoggia un fisico quasi androgino, simile a una macchina, nella finzione asciugato dal dolore, nella realtà plasmato dalla danza e dallo yoga, aggiunge: «Come tutte le persone, anche io mi sono trovata a dover affrontare problemi che mi hanno messo alla prova e che mi hanno ricordato chi sono veramente. Nel film la mia dottoressa proprio grazie a difficoltà estreme ritrova il senso della propria vita proprio quando pensa che non ci sia più niente per cui valga la pena andare avanti. Ho incontrato molti astronauti, persone normali capaci di cose straordinarie, ai quali ho chiesto tante informazioni sulle reazioni del corpo e della mente in circostanze analoghe a quelle del mio personaggio. È stato necessario un duro allenamento, ma sapete, quando si ha un figlio di quattro anni che bisogna continuamente sollevare, ti tieni in forma per forza!».
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