lunedì 20 giugno 2016
Spoerri, la purezza inattesa
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Il sapere e più ancora la sapienza sono spesso in debito nei confronti dell’errore. Pensate all’America. Cristoforo Colombo ci arriva per sbaglio, convinto di aver raggiunto le coste dell’India. Qualche secolo più tardi Franz Kafka combina un altro pasticcio scrivendo che la Statua della Libertà tiene in mano una spada anziché una fiaccola. Ma è grazie a Colombo che il mondo è diventato più grande, è grazie a Kafka se la durezza di quel Nuovo Mondo ci è un po’ più chiara. Un errore c’è anche nelle Ultime Cene che Daniel Spoerri torna a esporre in una mostra fortemente personale e selettiva fin dal titolo (Una dura scelta, a cura di Luciano Massari, aperta fino all’11 settembre presso il Centro Arti Plastiche di Carrara). E non è un errore da poco. Riguarda l’Ultima Cena per eccellenza, quella consumata da Gesù alla vigilia della Passione. Dalla lastra di marmo emergono il pane spezzato e la brocca del vino, mentre il piatto è occupato da un pesce arrostito, pietanza niente affatto festiva. Per rappresentare con precisione documentaria il banchetto pasquale ebraico occorrerebbe la menzione visiva dell’agnello, ma Spoerri – splendido e taciturno ottantaseienne – non sembra farci caso. Il pesce, in effetti, è un richiamo ricchissimo di significati: simbolo dei primi credenti (in greco la parola ichtus si compone delle iniziali della formula “Gesù Cristo, Figlio di Dio e Salvatore), è il cibo che il Risorto sembra prediligere nel racconto sia di Luca sia, a maggior ragione, di Giovanni, dove il Maestro si manifesta addirittura come cuoco. E i pesci, insieme con i pani, sono all’origine della moltiplicazione miracolosa alla quale si accompagna – sempre secondo Giovanni – l’invito a raccogliere gli avanzi, affinché nulla di quel prodigio vada perduto.Realizzate nel 2007 e inizialmente esposte a Milano presso la Galleria del Credito Valtellinese, le Ultime Cene non sono avare di suggestioni spirituali. Sulla tavola di Sigmund Freud, per esempio, veglia una riproduzione della Grande Madre mediterranea nelle fattezze assai psicoanalitiche dell’Artemide di Efeso, e poi c’è la ciotola di riso del Buddha, c’è – assoluta nella sua semplicità – la tazza da cui Socrate sorbisce la cicuta. Ma anche un’opera di tutt’altra concezione come la Natività al contrario, con lo scheletrino dell’infante portato in dono dalla cicogna, non è altro che un memento mori monastico portato alle estreme conseguenze. Allo stesso modo, la categoria dell’idolo o, meglio ancora, del totem è la più adatta per descrivere le sculture di Spoerri che dal 24 giugno al 30 luglio si potranno ammirare a Spoleto in Bronze Age (a cura di Achille Bonito Oliva, catalogo Mudima), una delle mostre che accompagneranno lo svolgimento del Festival dei Due Mondi.Nato nel 1930 in Romania, il Paese in cui il padre, Isaac Feinstein, era missionario luterano, e formatosi a partire dal 1942 a Zurigo, nella casa dello zio materno, il filologo Theophil Spoerri (il cambio di cognome fu una decisione di famiglia), Spoerri è uno dei grandi irregolari dell’arte contemporanea. Il suo è un percorso originalissimo e sorprendente, avviato da un’esperienza giovanile di danzatore e coreografo. Dalla fine degli anni Cinquanta, la sua esplorazione si estende alle arti figurative e approda presto all’invenzione dei tableaux-pièges, i “quadri trappola” che cristallizzano i resti – reali o fittizi – di un pranzo. Per un certo periodo, all’origine di queste piccole installazioni permanenti ci sono i pasti che lo stesso Spoerri serve nel ristorante da lui aperto a Düsseldorf, in Germania. A Carrara i tableaux-pièges propriamente detti non sono presenti (se ne sono visti in abbondanza qualche mese fa a Chiasso e a Modena, sedi di un’altra importante mostra di Spoerri, Eat Art in transformation), ma non passa inosservata La tavola caduta, dalla quale piatti e bicchieri, bottiglie e posate continuano a precipitare, in un tempo sospeso più mistico che beffardo.Come ricorda Antonio d’Avossa nel saggio critico compreso nel catalogo di Una dura scelta, Spoerri è di casa in Italia almeno dal 1961, anno della sua prima personale alla Galleria Schwarz di Milano. Oggi l’artista vive tra Vienna (in queste stesse settimane nella capitale viennese la Galerie Krizinger ospita un’altra sua mostra, Was bleibt, “Che cosa rimane”) e Seggiano, in provincia di Grosseto. Qui si trova il Giardino dal quale proviene L’ombelico del mondo, l’installazione ora temporaneamente trasferita presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara a completamento della rassegna al Cap: un cerchio composto da nove unicorni monumentali, numero perfetto applicato all’animale leggendario che è emblema di purezza. Non per niente, negli ultimi anni il bianco è sempre più presente nella ricerca di Spoerri, quasi a suggerire che dal disordine del mondo (a Carrara sono esposte, tra l’altro, alcune delle sequenze di oggetti che formano la Catena genetica del Mercato delle pulci) può affiorare in qualsiasi momento un’ombra di candore, nella speranza che qualcosa veramente rimanga, che nulla vada mai perduto.
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