venerdì 26 gennaio 2018
A un secolo dalla nascita la Triennale dedica una retrospettiva al genio molteplice e nomade del designer che ha segnato l’epoca dal Sessantotto al Postmoderno
Una parete di disegni e progetti di Ettore Sottsass alla Triennale

Una parete di disegni e progetti di Ettore Sottsass alla Triennale

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Si avvicina l’anniversario. I cinquant’anni della contestazione giovanile, del Sessantotto, dei figli dei fiori, della liberazione sessuale, dell’immaginazione al potere, del vogliamo tutto, delle bombecarta fabbricate nelle cantine dagli sbarbatelli delle famiglie bene, del vietato vietare, del siate realisti chiedete l’impossibile ovvero la vita è altrove... Se dovessi giudicare da com’è andata a finire il simbolo che riassume tutta l’epoca, tanto nelle sue pretese di libertà quanto nelle sue nuove dipendenze da un potere più subdolo di quello che intendeva demolire, lo trovo in un oggetto di design che storicamente aveva una funzione precisa e poi venne largamente venduto come oggetto d’arredamento elegante, allegro, giovane. Un prodotto- epoca, insomma. La macchina da scrivere Valentine disegnata da Ettore Sottsass per Olivetti nel 1969. Quando l’Olivetti era una azienda leader nel settore – fra le più capaci a sviluppare attrezzature informatiche, prima cioè débâcle indotta dalla cura De Benedetti –, il design Olivetti era un influente sistema di comunicazione. È per questo che tra il nome tecnico Lettera 22 e quello che pronunciato suona Valantain corre un abisso.

Il lancio della Valentine venne accompagnato da manifesti pubblicitari dove si vedevano ragazzi vestiti come figli dei fiori, seduti sulla moquette di casa o dell’ufficio, che tamburellavano sulla tastiera della macchina da scrivere, o se la portavano in viaggio, come perfetti turisti con la cinepresa e la macchina fotografica in mano; era l’epoca della liberazione totale dalle regole dei padri, che erano spesso esponenti della società perbene a cui i loro figli opponevano lo slogan “vogliamo tutto” senza scalfire però quella società piccolo borghese di cui i rampolli, sia pure in modo antagonistico, erano partecipi (per i privilegi di cui godevano). Ettore Sottsass ebbe il genio di trasformare un oggetto d’uso nel lavoro d’ufficio in un pezzo d’arredamento per tutte le case e per viaggiatori in vena di scrittura diaristica. Siamo stati, come disse l’uomo dalla mascella volitiva, un popolo di santi navigatori e poeti. Oggi siamo un popolo di scrittori compulsivi che digitano pagine e pagine di commenti occupando parte della propria giornata in logorroici sfoghi sui social media, e questa rivoluzione della fantasia democratica ha nella Valentine la sua icona anticipatrice celebrata dai musei del design. La vediamo anche alla Triennale, esposta secondo lo schema di un manifesto che ne presentava le linee morbide “a impronta” dove era evidente che il vecchio assunto modernista “la forma segue la funzione” finiva ormai in soffitta perché, sempre giocando sui luoghi comuni, anche il bello vuole la sua parte. È il preludio del postmoderno, che Sottsass durante gli anni Ottanta incarna compiutamente nella sintesi di kitsch e raffinatezza accreditando l’idea della forma come superfluo necessario: sovrastruttura critica post-marxista. Fine delle ideologie e dell’austerity, sia sociale che mentale. Anni arrembanti, ludici, socialisti; e Sottsass partecipa del clima fondando nel dicembre del 1980, a casa propria, il collettivo Memphis che unirà poi De Lucchi, Mendini, Branzi, Hollein, Graves e altri. Il gotha postmoderno.

La mostra There is a planet che la Triennale di Milano gli dedica fino all'11 marzo è uno specchio fedele di questa attitudine a viaggiare con la mente, un nomadismo che lo porta a fotografare i luoghi e le cose, ad annotare il presente (o meglio il passato-presente, trampolino da cui saltare nel presente-futuro). Del viaggiatore mentale testimoniano gli scritti raccolti nel volume Per qualcuno può essere lo spazio edito da Adelphi. Testi degli anni Quaranta e Cinquanta dove Sottsass dà prova di osservatore molteplice, come chi raccolga sul tavolo gli elementi di un discorso che sta ancora cercando, una vera e propria inventio, da cui emergeranno un linguaggio, uno stile, un orizzonte verso cui operare.

Ben presto alla scrittura si affianca la fotografia e il lavoro d’architetto che indaga con l’immagine il senso dell’abitare il mondo, dove lo spazio assurge a forma e sostanza antropica che incarna tradizioni e culture, le più lontane, anche primitive o originarie se si vuole, e Sottsass si muove in questo caos come un antropologo heideggeriano per il quale comprendere il modo di abitare viene prima del costruire. Fotografie che ora si compongono sulle pareti della Triennale e rappresentano un progetto aperto, non finito, una “datità” del mondo, l’étant donné che è dono, come ha scritto il filosofo Jean-Luc Marion, perché è dato prima di ogni accettazione e interpretazione. Ecco il pianeta, dice Sottsass, ecco il dono-dato che precede la nostra comprensione ma ci chiede di andargli incontro. Le mie fotografie, ha scritto lo stesso Sottsass, non sono belle, luminose, speciali – un prodotto estetico ed esotico come quelle di Chatwin, verrebbe da dire, benché lo spirito gli si avvicini –, non sono foto da “National Geographic”; ciò che ne emerge è lo sguardo di Proteo che è attirato dalla sedimentazione del nocciolo più duro dell’umano, ma anche dalle forme mutevoli che da esso si generano.

È quasi una prassi impulsiva, dettata da curiosità e senso letterario del genius loci; foto che compongono «un permanente progetto senza senso», come paranoia continua, ovvero sono frutto dell’urgenza di prendere nota, da taccuino esplorativo che attende un catalizzatore attorno a cui ordinarsi. È un pianeta che appare, che c’è e che diventa occasione, deposito, magazzino da cui prelevare le idee. Così anche quando Sottsass operava da antropolologo-designer sul vissuto storico e su quello emergente nelle società affluenti come la nostra, dove il consumo e il capitale stavano modificando i rapporti sociali e il sentimento del bene comune. Il fatto è che questa strategia del contrappunto estetico non è mai uscita, anche nella sua volontà radicale, dagli schemi di un cultura che viene a patti col nemico. E la fuga nella creatività, praticata da Sottsass come un genio infantile, non ha affatto ribaltato le premesse. Anzi le ha completate.

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