sabato 24 settembre 2016
​Nel dibattito relativo alla sfumata candidatura olimpica della capitale per l'edizione del 2024 è fuorviante considerare solo l'impatto economico e non anche quello culturale.
La sostenibile pesantezza dei Giochi
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​«La situazione politica in Italia è grave ma non seria». A dimostrare la bontà e l’efficacia del celeberrimo aforisma di Ennio Flaiano sono il livello del dibattito sviluppatosi nel Paese attorno alla sfumata candidatura olimpica di Roma per i Giochi del 2024 e la superficialità degli argomenti utilizzati per cullare o infrangere il sogno olimpico. I Giochi sono infatti una cosa molto seria e serio, nel senso di approfondito, responsabile e informato, sarebbe dovuto essere l’approccio al tema della nostra classe dirigente e dell’amministrazione capitolina in particolare, che hanno invece scelto di limitarsi a valutazioni di natura economico-quantitativa e alla discutibile analisi del rapporto costi-benefici. Colpa quindi di una italiota miopia, ma anche di un mainstream internazionale totalmente schiacciato su questa tipologia di valutazioni. Basti pensare alla robusta messe di articoli scientifici pubblicati nell’ultimo quindicennio sul tema della convenienza economica o meno a organizzare le Olimpiadi e selezionati dallo Shorenstein Center di Harvard, e allo studio realizzato nel 2011 da Andrew Rose e Mark Spiegel per The Economic Journal. Che questi lavori abbiano un’utilità di fondo è indubbio. È infatti importante sapere che i Giochi di Londra sono costati 11 miliardi di sterline, quelli di Sydney 5,3 miliardi di dollari, quelli di Rio circa 12 miliardi di euro e quelli ancora di Pechino 40. Lo è a maggior ragione conoscere le ragioni del deficit di 10 miliardi di euro accumulato da Atene e del disavanzo di 6 gestito da Barcellona e le conseguenze della tassa olimpica introdotta a Toronto nel 1976 e rimasta in vigore fino al 2006. Ed è rilevante infine sapere che le uniche Olimpiadi della storia in grado di produrre profitti consistenti per gli organizzatori sono state quelle di Los Angeles 1984, allestite, in pieno reaganismo, solo dai privati e sostanzialmente appaltate dal top manager Tom Ueberroth alle grandi corporations.  Ma un’analisi limitata solo a questi aspetti quantitativi rischia di risultare non solo parziale, ma addirittura miope e fuorviante. Le Olimpiadi producono infatti una miriade di effetti qualitativi e ad alto impatto sul triplice fronte culturale, etico e spirituale che nessuno studio riuscirà mai a calcolare nell’immediato ma di cui è comunque facile individuare nel concreto i lineamenti. L’esperienza del passato, a questo riguardo, è straordinariamente utile e colpisce in negativo che nessuno degli stakeholders di Roma 2024 abbia avvertito l’esigenza di fare riferimento alla storia. Così come i numeri degli studi succitati, fatti ed episodi del passato olimpico parlano chiaro. Illuminante appare anzitutto il caso dei Giochi del 1964, che diedero modo a Tokyo e al Giappone di uscire definitivamente dallo stato di minorità prodotto dallo status di Paese reazionario, sconfitto in guerra e fino al 1952 sottoposto all’amministrazione americana; di investire sulla tecnologia, facendo dei Giochi il momento di lancio delle tecnologie informatiche e satellitari per tante corporations del comparto; di ripensare complessivamente il sistema dei trasporti e l’urbanistica della capitale dell’impero, dove furono costruite cinque linee della metropolitana, la rete della prima rete ferroviaria ad alta velocità nel mondo, il Tokaido Shinkansen, oltre a strade, autostrade e canali. Interessante è poi l’esperienza di Seul e della Corea del Sud più in generale che, proprio sull’onda del sogno olimpico e durante il processo di organizzazione dei Giochi, riuscì a liberarsi finalmente di quell’immagine di debolezza e pusillanimità prodotta da vecchi stereotipi duri a morire e, cosa ben più importante, a completare il suo processo di transizione dalla dittatura alla democrazia. I Giochi del 1988 fecero cioè da straordinario catalizzatore di svolte già presenti in latenza all’interno della società coreana e messe quindi nella condizione di affermarsi pienamente nel 1987. Da ultimo quindi c’è il caso inglese a mostrare con chiarezza l’impatto culturale ed educativo prodotto dalla organizzazione dei Giochi del 2012, che sono stati infatti promossi e ottenuti nel quadro di uno straordinario investimento di lungo periodo e respiro proposto in tema di educazione e formazione ed efficacemente riassunto nello slogan «Inspire a generation». Di qui tutto il senso della visione, della prospettiva e dei tempi lunghi, che in Italia si fa terribilmente fatica a condividere e attuare. Per via proprio di questa miopia, abbinata ad uno strumentale approccio ragionieristico e contabile al tema, il sogno di Roma 2024 è sfumato. A priori ne è stata enfatizzata l’insostenibilità finanziaria, sulla base di un pregiudizio, evidentemente dannoso, in quanto tale, che nasce dalla non conoscenza delle svolte culturali e valoriali consumatesi nell’ultimo ventennio all’interno del Cio stesso, per merito e sulla scorta delle grandi intuizioni dell’indimenticato Samaranch in particolare. La Carta Olimpica entrata in vigore il 18 luglio 1996 parla non a caso, al paragrafo 13, del concetto generale e complesso di sostenibilità delle Olimpiadi, alludendo evidentemente all’impatto economico dell’organizzazione olimpica, ma anche e soprattutto a quello ambientale, culturale e di lungo periodo, prodotto all’interno della comunità urbana chiamata ad ospitare i Giochi. Non era quindi un caso che a Roma si puntasse per lo più sul recupero e sulla valorizzazione di strutture già esistenti e non deve sorprendere ora che si torni a parlare di possibili Olimpiadi a Milano, pensando di riutilizzare spazi, aree e impianti già presenti all’interno dell’area metropolitana.Si sarebbe potuto e dovuto provare a fare un investimento sul futuro. Si è invece scelto di chiudersi a riccio nel passato e nella demagogia.
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