sabato 17 novembre 2012
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Una vena di malinconia, forse. Piuttosto un senso di non appartenenza, il leggero malessere di chi ti osserva da estraneo, con una fissità che inquieta. Non ci sono sorrisi, non c’è un guizzo di vitalità né di spensieratezza tra questi visi ingombranti. Sono tanti, troppi, perché anche l’osservatore più distratto non colga il muto richiamo di un esercito di ragazzi e bambini che, con lo sguardo, lo adescano prepotentemente. Con un occhio da lettore e uno da professionista della lettura, Nicola Galli Laforest, una delle anime dell’associazione culturale «Hamelin», per qualche tempo in libreria si è divertito a guardare le copertine dei libri per ragazzi e per adulti, a osservarle nella loro immediatezza, cercando di decodificare la storia che raccontano. Che non è necessariamente la stessa del libro. «All’inizio è stata una sensazione, poi uno dopo l’altro – dice – questi visi in primissimo piano son venuti fuori a ripetizione. E quello che mi ha colpito è stata la loro espressione, priva di entusiasmo e di energia, il contrario di quell’esuberanza che ti aspetti a quell’età. Il percepire un malessere come di gente tradita, forse derubata di qualcosa». Dallo sconcerto è nato lo studio, un’analisi che apre l’ultimo numero di Hamelin, la rivista di critica letteraria sulla letteratura per ragazzi. «La prima constatazione è che, indipendentemente da questo o quell’editore, c’è tanto nero sugli scaffali. Un mondo oscuro, cimiteriale, su cui si stagliano immagini di bambini. L’abbinamento di un messaggio aggressivo e di un elemento di fragilità, una combinazione grafica già vista in quella tendenza al gotico che nell’editoria per ragazzi ha trionfato con la saga di Twilight e i suoi cloni, fatta di sfondi bui, fiori e farfalle, piume e ali in primo piano». Il secondo dato è che si tratta di faccioni che occupano l’intera copertina e ci guardano fissi. «È una strategia di comunicazione semplice e diretta che calamita lo sguardo con rapidità e fa scattare immediatamente l’identificazione.
Ma la particolarità è che quei visi sono tutti di bambini. Inizialmente il gioco riguardava i libri per ragazzi. E dunque era interessante capire quale viso poteva essere desiderabile da un giovane. Ma poi mi sono accorto che lo stesso succedeva anche sui libri per adulti. Forse un’esca di altro tipo?». Messe una accanto all’altra le immagini, tutte fotografie e tutte frontali, alcune con una zoomata che esalta la grandezza degli occhi, forniscono suggestioni che singolarmente non si avvertono. «Sembrano personaggi un po’ alieni – spiega Galli Laforest –, sono bambini puliti, dalla carnagione chiara, luminosa, senza imperfezioni e brufoli, eppure di loro si direbbe che hanno cicatrici non affiorate fisicamente. Tutti sembrano raccontare la stessa storia parallela in un’atmosfera ingannevole, di purezza, speranza e promesse tradite». La solitudine dei numeri primi ha segnato un inizio. Da lì in su lo stile della giovinezza in copertina è diventato un tormentone. Emblema di un’espressione non retorica ma in cui si legge che qualcosa non va, è il ragazzino della copertina dell’edizione 2010 di Qualcuno con cui correre di David Grossman, che ha sostituito un precedente protagonista evidentemente meno funzionale. Ha due occhi limpidi e autentici ma in qualche modo segnati da una disillusione. E solo qualche lentiggine a conferirgli una lieve patina sbarazzina. Evidentemente un format invidiabile e vincente se – come ha scoperto Galli Laforest – lo stesso ragazzino imperversa curiosamente in altri tre romanzi di editori diversi tra cui un sorprendente e bucolico Barone Rampante di Calvino. Un libro che ha avuto una miriade di copertine, ma sempre illustrate. E dunque se quel viso sembra costituire l’espressione esemplare, il prototipo ideale per rappresentare l’infanzia cosa si può concludere? Che il best seller perfetto prevede la presenza dei ragazzini? Che archiviato il Novecento, secolo che ha cominciato a guardare all’infanzia come a un valore da proteggere, il nostro tempo mostra una evidente regressione? Non lo raccontano solo le copertine, altri segnali ci conducono qui. E non si tratta solo dello sguardo adulto insistente nell’osservare il bambino patologico obeso, depresso, iperattivo, bullo, teledipendente ma fenomenale testimonial per un’infinità di prodotti.
Se da La schiappa di Jerry Spinelli, da Lo sfigato di Susin Nielsen fino al Diario di una schiappa di Jeff Kinney, grandi successi internazionali hanno portato alla ribalta i perdenti, gli isolati, fortunatamente anche con ironia, altri anti-eroi, impacciati, malaticci, traumatizzati, avanzano. Maschi, soprattutto, che hanno assunto i tratti di creature dimesse e fallimentari. «Da Harry Potter in su, anche lui non certo uno spigliato, è affiorato il modello di un’infanzia diversamente in difficoltà, variamente disadattata. E a questo si sono affiancati i filoni delle fiabe in versione noir e delle distopie, storie alla Orwell ambientate in mondi cupi immaginari in cui non c’è futuro se non sottomettendo o eliminando i bambini. Ne è un esempio il successo americano di Hungher games, la trilogia di Suzanne Collins – diventata anche un film – in vetta alle classifiche dei più letti da ragazzi e adulti, ambientata in un futuro distopico post-apocalittico in cui i ragazzi vengono sorteggiati per partecipare a combattimenti mortali trasmessi in tv. E ancora i successi letterari di casa nostra degli ultimi anni: best seller come quelli di Paolo Giordano o Silvia Avallone, romanzi per adulti che raccontano di adolescenti che stanno male. «Vengono straletti, e gli autori guardati come guru – è la conclusione di Nicola Galli Laforest – che hanno avuto il coraggio di dire l’indicibile. Non sui ragazzi però, mi viene da pensare: il sospetto è che sia molto più, spesso, un problema degli adulti, che continuano a vedersi lì, giovanetti a cui qualcuno ha rubato il futuro».
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