mercoledì 7 ottobre 2020
Sant’Ambrogio nel suo “Esamerone” affronta anche il rapporto nella Creazione fra il primo uomo, Eva e gli altri esseri viventi. E ci fa capire perché ne abbiamo bisogno: per non montarci la testa
Henri Rousseau, “Foresta tropicale con scimmie” (1910)

Henri Rousseau, “Foresta tropicale con scimmie” (1910) - WikiCommons

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Cornacchie, pappagalli, merli, pernici, rondini, folaghe, tortore, api, lepri, camaleonti, cavallette, pipistrelli, cavalli, asini, volpi, cervi, galli, leoni, leopardi, formiche, serpenti, mucche, pecore, ricci, lupi, scimmie, cani, vermi, elefanti… Nel giro di poche pagine vengono menzionati e descritti questi e molti altri animali. Un libro di zoologia? Un trattato di etica ambientale? Un testo “animalista”? Una favola per bambini? Niente affatto. Si tratta di una predica di circa milleseicento anni fa, uscita dalla bocca austera di Ambrogio, vescovo di Milano. Insieme ad altre omelie riguardanti i sei giorni della Creazione, compone il suo Exameron, spesso ingiustamente considerato la brutta copia di quello più titolato di Basilio il Grande. Chi si aspetterebbe dal portamento altero di Ambrogio un’affezionata omelia sugli animali? La cosa si complica se si pensa che fu tenuta durante la Settimana Santa, probabilmente del 387, per preparare i fedeli alla celebrazione della Pasqua. La sua apertura mentale, segnale lampante di larghezza d’animo e di cuore, gli consentiva di annunciare la morte e la risurrezione di Cristo osservando e indicando rondini, cani e pesci d’ogni genere. Perché? Probabilmente appropriandosi della visuale dei libri sapienziali della Bibbia, riteneva che l’“osservazione” attenta della Creazione fosse già “osservanza” del patto stretto da Dio col mondo. Del resto, parlando del Padre, Cristo stesso aveva indicato uccelli del cielo e fiori del campo.

Tuttavia la competenza, la cura, la simpatia con cui Ambrogio parla degli animali (in vista della Pasqua!) forse serba un’ulteriore, impensata sfumatura. Può aiutare a coglierla il libro pubblicato nel 2006 da Jaques Derrida: L’animale che dunque sono. Come suo solito, il filosofo ebreo–francese non entra nelle questioni dalla porta principale, aperta dalla tendenza del momento (nel nostro caso quella eco–animalista), ma da un ingresso secondario; non dalla vetrina, ma dal retrobottega. Ciò gli consente scorci insoliti e sorprendenti. Egli nota la stretta parentela tra uomini e animali, peraltro evidenziata fin da subito dalla Bibbia: tutti sono plasmati da Dio con la terra, sentono, respirano. Prosegue osservando che gli animali non sono all’altezza di Adamo; non gli corrispondano appieno, tant’è che Dio plasma Eva, come risposta adeguata a ogni attesa dell’uomo. Da qui la domanda: perché anche a creazione della donna avvenuta, gli animali sono conservati da Dio, visto che si tratta di una soluzione impropria e provvisoria alla solitudine di Adamo? Esattamente a motivo della loro inadeguatezza! Adamo necessita di chi gli corrisponde. Tuttavia se incontrasse solo chi gli è conforme e lo conferma sarebbe elevatissimo il rischio di fare della Creazione una gigantesca camera degli specchi, dove è convinto di incontrare chissà quanta gente, imbattendosi invece solo con la propria immagine moltiplicata e deforme.

Gli animali sono vicinissimi, senza corrispondere; somiglianti (nascono, si nutrono, si riproducono, si ammalano, muoiono…), ma non simmetrici. Sono voce, ma non parola. Comunicano restando ostinatamente refrattari alla nostra lingua (ridicolo e violento infrangerne il mutismo attribuendo loro parole e risposte “nostre”). Non soddisfacendo appieno l’inestinguibile sete di conferme, approvazioni e consenso, che tormenta uomini e donne, gli animali hanno un che di offensivo e insolente. Anche perciò li si considera inferiori, indegni; legittimamente sfruttabili in ogni modo. Come talvolta riteniamo inferiori e utilizzabili a piacimento gli umani che non corrispondendoci appieno, non confermano la nostra identità di singoli, nazioni, culture, economie, “etnie”… Dio lascia gli animali agli uomini come antidoto contro il narcisismo di chi vuole attorno a sé solo specchi lucidi. Nemmeno chi “umanizza” gli animali ne apprezza il mistero; anzi li plagia, imponendo loro un modello che li offende. Gli animali sono il primo compito in classe per verificare se si è in grado di sostenere una relazione che non voglia solo satelliti, ma accetti una presenza resistente, urtante, opponente, non sincronica.

Gli animali annunciano in maniera singolare il carattere fisiologico e non patologico della non piena corrispondenza… anche nelle relazioni umane. Evidentemente questo vale anche (o innanzitutto!) per Dio. Vorrà pur ben dir qualcosa il fatto che “agnello” sia tra i nomi più misteriosi e significativi di Cristo. Non ne evoca solo l’innocente mitezza e la disponibilità sacrificale, ma anche la sua insistente non totale corrispondenza alle attese degli uomini. Perciò fu tolto di mezzo. E perfino quando ci si attendeva da lui una parola di rabbia o vendetta (sarebbe stata almeno una conferma dell’efficace prepotenza umana), stette «muto come pecora davanti ai suoi tosatori» (Isaia 53,7; Atti 8,31). Parlando di pernici, api e lepri, Ambrogio aveva visto lungo. Eccome.

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