giovedì 26 aprile 2012
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​È Il Bayern Monaco l’altra finalista di Champions che sfiderà il Chelsea il 19 maggio. Sfuma il sogno di Mourinho. Sbagliano proprio loro, i miti del calcio: fatali dal dischetto gli errori di Ronaldo, Kakà e Sergio Ramos, il Real Madrid si arrende al termine di una battaglia infinita, una splendida notte di grande calcio, aperta dal rigore trasformato da Ronaldo. Dieci minuti ancora e il Real sembra mettere in cassaforte la finale, ancora con Ronaldo. Ma sullo 0-2 il Bayern reagisce, gioca meglio, trova con Robben la rete ancora su rigore che vale il 2-1, identico risultato dell’andata. L’equilibrio dura anche nei supplementari. Finisce ai rigori: il Bayern esulta.La compostissima Londra intanto, sponda Chelsea, all’indomani dell’impresa del Chelsea a Barcellona, esalta lui, il nostro “paisà” Roberto Di Matteo, tecnico dei Blues che ha matato il Barcellona dei “sottoMessi”. Figlio di emigranti abruzzesi, nato a Sciaffusa 42 anni fa. Svizzero di nascita, ma italiano per scelta, come lui stesso spiegò il giorno della sua prima convocazione in azzurro (34 presenze con la nostra Nazionale): «Preferisco essere un operaio italiano che una stellina svizzera».Fortemente voluto alla Lazio da Zoff, da giocatore Di Matteo venne poi scaricato da Zeman. Ma non si perse d’animo e lasciò il segno proprio al Chelsea (due gol nelle finali di Fa Cup 1997 e 2000) dove è restato per sei stagioni, di cui 4 in campo. Nel febbraio 2002, a soli 31 anni, infatti è costretto a chiudere con il calcio, stoppato da una triplice frattura alla gamba destra. Tutto questo ha reso ancora più forte caratterialmente il silente Di Matteo che con la solita umiltà ha detto «yes» quando patron Abramovich ha scommesso su di lui per sostituire il deludente figlioccio di Mourinho, Villas Boas. Una scommessa pienamente ripagata. A Di Matteo sono stati sufficienti 51 giorni per passare dal ruolo di supplente a professore in cattedra, raddrizzando la stagione dei Blues che pareva irrimediabilmente deragliata. «Ha ricreato la giusta atmosfera nello spogliatoio, restituendoci spirito di gruppo e determinazione. Ci ha ricompattati», spiega Lampard all’indomani del miracolo di Barcellona. Un 2-2 conquistato in dieci per l’espulsione di capitan Terry.A Barcellona invece già impazza il dopo-Guardiola. Il tecnico blaugrana si trincera nel suo solito fairplay. Del resto il “barcellonismo” può essere orgoglioso di una squadra che ci ha messo la faccia, ha mantenuto il suo stile ed è caduta giocando a calcio davanti a un mare di pubblico, 95.845 spettatori al Camp Nou che di sicuro hanno apprezzato ancora una volta lo spettacolo del calcio.
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