venerdì 24 gennaio 2014
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«Ma questi soldi sono tutti sporchi!». Sono fisicamente (e moralmente) sozze le banconote delle mazzette che il giovane Ivan Alexandrovic Chelstakov, che tutti cercano di corrompere credendolo un alto funzionario del Governo, stropiccia fra le mani. Quando Gogol scrisse questa battuta era il 1835, e il suo Ispettore generale capitava in un paesetto sperduto della Russia zarista «che anche se cavalchi per tre giorni non raggiungi nessun confine», portando lo scompiglio tra i piccoli notabili del luogo terrorizzati dall’idea di un controllo sui loro loschi traffici e inadempienze: hanno tutti le mani in pasta, il sindaco, il commissario di polizia, l’ispettore scolastico, il giudice, il sovrintendente dell’ospedale, l’ufficiale postale. La corruzione non sta solo a San Pietroburgo (o a Roma) ma è ramificata in modo capillare e inesorabile in tutti gli strati della società, compresi i mercanti e gli imprenditori taglieggiati che si piegano al sistema per i loro interessi. Perché a tutti importa una cosa sola: il denaro, meglio se facile, alla faccia del servizio pubblico. Un testo oggi necessario questo Ispettore generale che il 38enne regista Damiano Michieletto ha scelto di adattare e mettere in scena con una robusta produzione del Teatro Stabile del Veneto (ben 11 gli attori, tutti di livello), e che ha appena debuttato fra gli applausi al Teatro Verdi di Padova per andare a Venezia dal 29 gennaio e, più avanti, al Piccolo di Milano. Tanto necessaria, quanto poco frequentata la pièce (si ricorda un Branciaroli nel 1993) forse proprio perché Gogol punta l’indice anche contro di noi, con il suo sarcasmo sbeffeggia certa Italietta di oggi anche se l’ambientazione è trasportata nella Serbia odierna, povera e demodée. Tutto è sporco e opprimente: la casa del sindaco è un bar dalla tappezzeria macchiata, con tanto di slot machine e tremende luci al neon, le donne di casa girano in ciabatte e i compaesani non sono azzimati imprenditori brianzoli (come nel film di Virzì Il capitale umano ), o splendidi squali della finanza come il Di Caprio di The Wolf of Wall Street, bensì un gruppo di grotteschi ometti brutti, sporchi e ottusi, che si ubriacano di vodka, fumano a tutto spiano e tramano. Sono i furbetti del quartierino, capitanati dal sindaco Anton Antonovic, in cui dietro gli occhiali da sole stile Gomorra il bravo Alessandro Albertin dosa con divertimento arroganza e stupidità. L’allarme scatta quando in paese spunta un misterioso giovane in arrivo da San Pietroburgo, bello, ricco e spendaccione (cui da efficace sventatezza Stefano Scandaletti) che tutti scambiano per il temuto ispettore generale. La girandola degli equivoci porterà il ragazzo a spennare gli inconsapevoli polli che lo riempiono di banconote, e a sedurre la moglie del sindaco (la brillante Silvia Paoli in maculato) e la figlia adolescente. È un testo in cui si ride molto, e dove l’ingranaggio teatrale funziona a pieno ritmo grazie a una compagnia di attori affiatatissima (a partire dalla coppia di comici pasticcioni Emanuele Fortunati e Luca Altavilla), e allo sforzo del regista di sforbiciare i cinque atti del testo (pur restandovi fedele) condensandoli in tre ore che filano via senza accorgersene. Michieletto (richiestissimo in mezzo mondo per i suoi allestimenti lirici) mantiene la rotta su una regia pulita e senza eccedere in quegli "escamotages" con cui sa stupire e dividere pubblico e critica. Il regista coglie in pieno il disagio diffuso oggi, soprattutto espresso dal cinema, di fronte ai modelli del denaro facile e della corruzione nei giorni della crisi economica. Gli stessi temi portanti del suo Ballo in maschera verdiano per la Scala trasformato in una festa kitsch di politici. Anche gli omuncoli di Gogol fanno festa, quando credono di aver risolto i loro problemi con l’ispettore e sognano di fare il "salto di qualità" dove stanno i veri soldi, potere e vizio. Michieletto si concede qui una delle sue svolte, organizzando un party fra droga e alcol in una piscinetta gonfiabile che fa tanto Grande Fratello o La grande bellezza dei poveri. Quando la beffa diventa palese, la disillusione (che è la vera punizione) brucia di più. I sogni vuoti vengono seppelliti da una risata e da un pugno di squallide banconote.
 
Padova, Teatro Verdi
L’ispettore generale
Fino al 26 gennaio
 
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