martedì 20 settembre 2016
SOFFERENZA cercarla non è cristiano
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L’attuale successo delle correnti religiose come la New Age o il buddhismo, sono dovute in gran parte alla loro pretesa di permettere all’uomo di uscire da questo mondo di sofferenza in cui il cristianesimo pare, sotto certi aspetti, mantenerli. Coscienti del rifiuto di queste giustificazioni passate riguardo alla sofferenza, i cristiani non ottengono nulla se oggi si rifugiano in un’attitudine in cui la sofferenza è presentata come un mistero che bisogna rinunciare a illuminare, mentre la maggioranza dei filosofi e degli esponenti di altre religioni si propongono di darle un senso e di liberarne l’uomo. In realtà il cristianesimo costituisce senza dubbio il tentativo più riuscito per comprendere il senso della sofferenza e saperla affrontare a patto che sia riportato correttamente nella giusta prospettiva. Per farlo è necessario sbarazzarsi di una rappresentazione falsa e nociva ritornando alle sorgenti. Su tali argomenti i Padri greci ci offrono dei punti di vista spesso diversi dalla concezione agostiniana e dalla tradizione di pensiero nata in Occidente.

Questo studio, prevalentemente fondato sulle loro riflessioni, non è uno studio storico ma piuttosto un saggio teologico che privilegia certe prospettive e sviluppa, partendo da esse, una riflessione sistematica e, ci pare, coerente. Il suo fine è quello di dimostrare che né la teologia, né l’antropologia, né la spiritualità cristiane conducono necessariamente a giustificare e valorizzare la sofferenza e che, contrariamente, conducono per molti versi ad averne una rappresentazione a priori molto negativa.

Pare dunque che, secondo un discorso molto chiaro di sant’Isacco il Siro, «Dio non vuole la sofferenza degli uomini» e non l’ha mai voluta; il Cristo non è venuto tra noi per farci soffrire ma piuttosto per liberarci dalle sofferenze; il Cristianesimo non è fondamentalmente la religione della sofferenza ma del benessere che Dio ha donato all’uomo creandolo e che ha in mente di donargli per l’eternità. La sofferenza rimane un fatto che, piuttosto che essere aggirato, dev’essere assunto e affrontato meglio possibile. È una constatazione saggia e pragmatica che ne fa il cristianesimo. D’altronde per tale compito il cristiano dispone di considerevoli possibilità. In Cristo la sofferenza ha ricevuto un nuovo statuto: ha perso il suo potere tirannico d’indurre al peccato e alle passioni e di poter essere utilizzata dalle potenze malvagie per condurre l’uomo al male.

Al contrario, la sofferenza può oramai essere utilizzata come un mezzo per combattere il peccato e le passioni e vincere le potenze del male. Con la grazia di Cristo ricevuta nel battesimo, oramai «la potenza [di Cristo] si mostra nella debolezza» dell’uomo (2 Cor 12, 9). Il cristiano riceve la capacità di rimanere spiritualmente distaccato e impassibile di fronte alla sofferenza. Non solo può evitare che questa lo porti al male ma ne fa pure un’occasione di progresso spirituale. Lungi dal trascinarlo a peccare e a sviluppare delle passioni, la sofferenza può essere per lui un’occasione per purificarsi dai propri peccati e passioni e di sviluppare comportamenti virtuosi. Il buon uso della sofferenza suppone comunque quattro disposizioni principali che una pratica regolare permette di elevare a virtù: la pazienza, la speranza, la preghiera e l’amore di Dio. 

Nello sforzo impiegato per adottare e sviluppare queste disposizioni spirituali, il cristiano ha Cristo come modello e pedagogo. Bisogna precisare, tuttavia, che se si può trarre del profitto spirituale dalla sofferenza non la si deve in ogni caso ricercare con questo fine. Il cristianesimo non fa della sofferenza un fine della vita spirituale e neppure un mezzo obbligato per tale vita. I beni spirituali acquisiti nella sofferenza non sono ricevuti da questa, ma all’occasione di questa. Inoltre, non dipendono tanto dalla sofferenza stessa quanto dall’attitudine assunta dall’uomo nei suoi riguardi. In quanto beni sono sempre un dono di Dio. La sofferenza costituisce di fatto una prova che, secondo la disposizione adottata nei riguardi di Dio, può condurre l’uomo sia alla sua perdizione sia alla sua salvezza. Scegliendo questa ultima via e progredendo in essa, il cristiano ha Cristo come guida esperta e compassionevole.

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