domenica 10 settembre 2023
La grecista e storica della filosofia docente all'Ucla parla del fascinodegli oggetti tecnologicie di come occorra usarli «interrogandosisu cosa c’è sottola punta dell’iceberg»
La grecista e storica della filosofia Giulia Sissa

La grecista e storica della filosofia Giulia Sissa - Carocci

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C’è una nuova ventata filosofica legata agli oggetti e alla tecnologia che chiama ad avere sempre più «un rapporto creativo, critico, sveglio e ispirato alla perfettibilità» rispetto alle innovazioni delle macchine. Oggi ancor più che nel passato siamo «chiamati a decidere, scegliere, modulare le nostre risposte». Un atteggiamento che per Giulia Sissa - grecista e storica della filosofia, docente all’Università della California a Los Angeles (Ucla) – ha qualcosa da dire anche nella sfera delle relazioni uomo-donna. Sissa a Mantova ha parlato venerdì e ieri in due sessioni dedicate rispettivamente a “La vita vibrante delle cose” e a “Donne possibili, donne potenti” sulla scorta del suo ultimo libro L’errore di Aristotele uscito lo scorso 8 marzo per Carocci.


Come l’IA sta cambiando il panorama?
È una delle sfide più urgenti e inaspettate di oggi. Tutti - anche chi lavora su algoritmi, automatismi, tecnologie - siamo sorpresi da questa accelerazione. ChatGpt si è imposto come qualcosa a cui dobbiamo reagire, a partire da scuola e università. Devono essere ripensate le abitudini pedagogiche, di scrittura, degli esercizi che si chiedono a studentesse e studenti; penso alla mia esperienza negli Stati Uniti, dove ci si basa sulla stesura di brevi dissertazioni.


E la sfida alla creatività?
Non si può fare finta che con ChatGpt i termini siano gli stessi di un anno fa. In ogni ambito intellettuale - professionale, istituzionale, di impresa, di ricerca scientifica – si pone in modo dirompente la questione di chi è che dice, pensa, scrive. Tra l’altro sono programmi in grado di imparare profondamente e migliorarsi rapidissimamente.


C’è una fascinazione per le macchine come oggetti?
Sì. C’è un discorso che è sempre stato affascinato dalle cose: quello della poesia, della letteratura, dell’arte. Siamo circondati da parole che fanno esistere le cose in maniera significativa, interconnessa, capace di evocare sentimenti ed emozioni nelle cose stesse. Come qualcosa che brilla. Pensiamo alla zattera di Ulisse nell’Odissea, ai dettagli sulle armi dei guerrieri nell’Iliade, che scintillano. È un’antica consapevolezza estetica e filosofica della vitalità delle cose.


Come si rapporta all’oggi?
Questa tradizione entra in risonanza con una serie di sperimentazioni filosofiche contemporanee che vanno verso la riscoperta di un materialismo delle cose, che nella tradizione marxista un tempo era chiamato “volgare”. Oggi non più, anzi c’è una straordinaria proliferazione di riflessioni sull’Ontologia orientata verso gli oggetti (OOO). Siamo usciti dal pathos post-heideggeriano di condanna della tecnica. Basta. È una forma di passatismo. Per fortuna questa grande ondata di riflessione sugli algoritmi, sui modelli cinematici della conoscenza, sull’OOO, sull’idea che c’è una democraticità degli oggetti, ci porta verso esperienze creative. È una nuova lettura, non antropocentrica, di Heidegger. È una grande boccata d’aria filosofica, che ci invita a smettere di porci la questione della tecnica solo dal punto di vista di come noi usiamo e comprendiamo le cose e invece ci invita a lasciarle essere. E vibrare.


Vibrare fa pensare a un telefonino silenziato. Questi oggetti non sono diventati dei compagni di vita, che soddisfano molte nostre esigenze e con cui addirittura dialoghiamo?
Quella sensibilità che ci invita a lasciar essere le cose ci invita anche a pensare alla relazionalità, al reticolo di connessioni in cui siamo immersi. Osserviamo posizioni etiche di biasimo, perché c’è troppa informazione, siamo troppo sollecitati etc. Ma non le vedo con favore. Sono apocalittiche, difensive e comportano una sorta di pigrizia. Queste relazioni sono invece una sfida alla nostra libertà. Dobbiamo continuamente decidere che cosa pensare.


Come?
Come esortano fare Bruno Latour, con i “quasi oggetti” e Timothy Morton con gli “iperoggetti”, autori che vanno oltre la finitezza dell’oggetto, per vederne le ramificazioni “interoggettive”. Oggetti banalissimi, come l’automobile, non posso usarli in modo indifferente e negligente rispetto al mondo più grande di me, all’ambiente. Nella copertina del libro di Morton c’è un iceberg, a dire che dell’iperoggetto vedi la punta, ma devi interrogarti su cosa c’è sotto.
Quali ricadute avrà l’IA, che è disincarnata, sulla conoscenza?


Innanzitutto, attenzione all’immaterialismo, perché – sempre nella logica dell’iperoggetto - in realtà dietro a un programma efficace di IA e deep learning c’è un enorme lavoro umano. Ho provato a litigare con ChatGpt chiedendogli cosa pensasse di Machiavelli. Mi ha sfornato le solite banalità e allora l’ho incalzato e lui si è difeso dicendo di essere solo una macchina, di non essere responsabile dei dati. È un gioco, ovviamente. Però il futuro è guardare a come l’astuzia della ragione risponderà. Perché la risposta non è tornare indietro, proibire, ma essere più intelligenti della macchina intelligente. Quindi, creare altri programmi per identificare testi prodotti da ChatGpt o da esseri umani.


Lei qui a Mantova ha parlato amche del ruolo della donna. Di recente abbiamo assistito a gravi fatti di violenza, ma anche di reificazione del corpo, come per la ragazza esposta in un buffet ricoperta di cioccolata. Cosa c’è che non funziona?
Il linguaggio filosofico dell’oggettificazione, attraverso Kant e Marx, ha avuto un ruolo importante nel femminismo del Novecento, si pensi a Simone de Beauvoir. Questo linguaggio, oggi, suscita perplessità. Proprio nel contesto filosofico di cui parlavo prima, il problema non è ridurre una persona a cosa. Non possiamo abolire il corpo, l’esperienza dei sensi, il valore della sessualità - che Kant negava - della tenerezza.


Di cosa c’è bisogno allora?
Di un linguaggio filosofico del corpo vissuto e della modulazione dell’esperienza. Il punto è l’arte di amare, che è l’anti-stupro. C’è tutto da imparare: gesti, toni, segni. C’è un apprendistato dell’attesa. Soprattutto, si deve imparare a decifrare, rispettare ed accattivare il desiderio altrui, a convertire le pulsioni in complicità erotica. Tutto il contrario di opinioni che tuttora circolano impunemente: assolvere la prepotenza maschile, attribuire intenzioni inesistenti alle donne. Dobbiamo dire un “no” categorico alla violenza sessuale. È un reato contro la persona. È un delitto contro l’amore erotico.
A chi guardare?


A un maestro come Ovidio. Il quale insegna che l’esperienza erotica è delicatezza: dice, ad esempio, che quando baci non devi mordere. Una concretezza del dettaglio in cui c’è tutto.

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