domenica 10 aprile 2011
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Nuove indagini archeologiche mettono in evidenza l’utilizzo, anche se limitato, già in antichità del barbaro sistema della "guerra chimica", dagli storici ritenuta prassi nata in epoca moderna e, grazie a raffinate tecnologie di morte, oggi messa in atto da tanti dittatori di potenze regionali, ma a volte anche da eserciti di democrazie occidentali. Veniamo invece a conoscenza da scavi recenti di un esempio lampante di una prassi evidentemente già invalsa nella polemologia del mondo classico: lo rivela un episodio agghiacciante, di cui gli studiosi riescono a definire i macabri contorni. Quasi 1800 anni fa, esattamente nel 256 d. C., 19 soldati romani si precipitarono in un angusto tunnel sotterraneo per difendere dai Persiani la città siriana di Dura-Europos , controllata dalle legioni, quale baluardo estremo del confine (limes) orientale dell’Impero. Ma invece che da nemici visibili, i soldati dell’Urbe furono assaliti da un muro di fumo tossico, che nei loro polmoni si trasformò in acido letale. Le loro capacità belliche nulla poterono contro quest’arma inusuale e inattesa ed essi morirono soffocati all’istante; appesi alle loro cinture i sacchetti contenenti l’ultima paga; e vicino ai loro corpi un soldato persiano, verosimilmente colui che materialmente generò il fumo tossico nel sottosuolo: anch’egli segnato dalla stessa tragica sorte. Questi 20 uomini possono essere a buon diritto considerati le prime vittime di guerra chimica, di cui si abbiano evidenza archeologica. In realtà il rinvenimento di questi cadaveri avvenne nel 1930: ma è solo in seguito a una recentissima analisi che si è appurata la causa del trapasso e si è ricostruita la dinamica dei fatti, forti anche dei risultati di ulteriori scavi sul sito siriano. Ed è così che studiosi americani ed europei di diversi centri di ricerca, fra cui l’archeologo inglese Simon James, hanno pubblicato i risultati delle loro analisi comparate sull’American Journal of Archaeology, arrivando a ricostruire lo svolgimento dell’azione bellica come segue: i Persiani, nell’assedio a Dura Europos, al fine di poterla sottrarre all’Impero (l’imperatore era Valeriano), decisero di scavare dei tunnel sotto le spessissime mura di cinta: l’operazione ebbe inizio a circa 40 metri di distanza dalla città, partendo da una tomba della vicina necropoli; contemporaneamente i difensori romani scavarono propri tunnel nella speranza di intercettare i nemici nel sottosuolo. Inizialmente gli archeologi ipotizzarono un feroce combattimento corpo-a-corpo, durante il quale i Persiani respinsero i Romani, dando poi fuoco alla galleria. Ma nel tunnel sono stati identificati resti di cristalli di zolfo e di bitume, un composto simile al catrame naturale, a suggerire un’ipotesi del tutto diversa e una crudeltà molto più raffinata: gli assalitori fabbricarono sostanze tossiche devastanti e le usarono senza pietà. «Incendi a base di sostanze catramose sono stati un usuale strumento di morte nelle grandi battaglie in Medio Oriente, dove era facile reperire nafta e bitume oleoso infiammabili. Quella di Dura Europos è la prima evidenza archeologica di una prassi invalsa, desumibile già dalle fonti letterarie», fa notare la storica ed esperta di polemologia, Adrienne Mayor (Università di Stanford). Emergono poi particolari precisi dall’analisi minuziosa del terreno e dei reperti: i persiani, con micidiale calcolo, a testimoniare una loro abitudine a simili azioni di combattimento, alimentarono il fumo tossico con un soffietto e lo indirizzarono contro il nemico, aggiungendo gradualmente zolfo e bitume per aumentarne la velenosità: e il fumo si trasformò in acido solforico. Fu un disastro ambientale e umano: gli effetti del gas tossico non si limitarono ai poveri soldati; una nube carica di veleni si propagò sugli isolati attigui, intossicando cittadini, tra cui numerosi cristiani, appartenenti ad un’alacre comunità in seno alla nascente Chiesa siriaca: nella necropoli sono stati trovati cadaveri, il cui decesso risale a quel periodo ed è stato conseguenza di intossicazioni o tumori polmonari.
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