sabato 17 giugno 2023
La rilevazione Atlas 2023 mette in luce come nel nostro Paese vi siano due spinte contrapposte, anche se è in costante calo la paura dell’altro. E tende a prevalere la ricerca di un’etica condivisa.
Il centro di Milano

Il centro di Milano - Kristijan Arsov / Unsplash

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La rilevazione 2023 Atlas si colloca in un contesto di una forte incertezza sociale. Aumenta il bisogno di sicurezza materiale, prima di tutto come tutela del tenore di vita al di sopra delle soglie minime di sussistenza. Sale la percentuale, oggi al 42%, degli italiani che ritengono la propria situazione economica «meno sicura rispetto al passato». Il susseguirsi di fattori esogeni di crisi ha contribuito ad aumentare la percezione di pericoli incombenti, che potrebbero mettere a rischio un equilibrio individuale e sociale già fragile e precario. «Ho l’impressione di essere circondato da pericoli, di dover stare costantemente sul chi vive» è un’affermazione condivisa oggi dal 57% della popolazione, in crescita se si confronta rispetto al 52% del 2020, in piena pandemia (+4,8%).

La società italiana esprime anche bisogni di sicurezza esistenziale, affettiva e valoriale. Come protezione dei cittadini ma anche delle tradizioni, delle comunità e del senso stesso di appartenenza dell’essere umano come animale sociale a una struttura simbolica di riferimento. Questa centralità vale ancora di più nei momenti di forte accelerazione e cambiamento. Globalizzazione e innovazione necessitano di protezione, non solo dal rischio di perdita di posti di lavoro o di potere d’acquisto, ma anche di rilevanza socioculturale.

Abraham Maslow, uno dei più importanti sociologi americani, collocava la sicurezza alla base della piramide dei bisogni. Negli anni questa visione è stata messa in discussione valorizzando bisogni di autorealizzazione e immateriali. Ma ancora oggi «Vorrei essere più sicuro» ottiene il 77,8% dei consensi, in crescita rispetto al 2022. Gli anni in corso dimostrano quanto la sicurezza resti la chiave di lettura centrale in tutte le sfere dell’agire umano, nella convivenza con le paure di diluizione e disgregazione dei valori dovute alle contraddizioni aperte dal cambiamento socioculturale.

Tuttavia, contrariamente a una consequenzialità lineare e monodimensionale, il bisogno di sicurezza non si traduce in chiusura su tutti i fronti. Contemporaneamente crescono anche le dimensioni dell’accoglienza e dell’accettazione di una società multietnica. L’ultima rilevazione Atlas vede accentuarsi entrambe le polarità esistenziali opposte sull’asse orizzontale della mappa, a riprova dell’esistenza di un canale di scorrimento tra queste due istanze fondamentali.

Si individua nella mappa la crescita di correnti a “sudest” e a “sudovest” (nel grafico, le porzioni in basso a destra e in basso a sinistra), in quella che potremmo definire una ricerca di senso che accomuna mondi diversi e che convive con diverse sensibilità. Un clima socioculturale che si esprime in scelte di consumo e stili di vita frugali, attenti alle implicazioni sulla collettività e fondati su una solidarietà di cuori alla base del volontariato e ben rappresentati dagli angeli del fango, in tempi recenti impegnati sul campo delle alluvioni. L’attenzione alla collettività, che accomuna questi slanci, si esprime anche in una maggiore apertura a una società multietnica. Il 75% della popolazione si dichiara d’accordo con l’affermazione «Una società in cui convivono tante razze e culture diverse è anche una società più ricca di idee e di stimoli».

In continua discesa invece sono atteggiamenti di tipo etnocentrico, come si coglie nel calo dell’affermazione «Mi sentirei a disagio se un mio parente avesse dei figli con una persona di colore» passato dal 22,7% nel 2022 al 18,8% nel 2023 (-3,9%). I bisogni di apertura esplorativa, che corrispondono a un’enfasi sui diritti individuali, si combinano con quelli di chiusura protettiva, che accentuano l’attenzione ai diritti sociali.

Una combinazione che si trova in vari ambiti, direttamente connessi alle strutture fondamentali della società, dal lavoro alla famiglia. Come nel caso dell’accettazione sociale dell’omosessualità, in continuo aumento, corrispondente all’86,6% della popolazione, d’accordo con l’affermazione «L’omosessualità è una normale forma di sessualità». Ne deriva una concezione della genitorialità che mette in discussione le barriere di genere e convive con una crisi degli aspetti istituzionali della famiglia, ridefinendo l’unione di coppia. Il 60,5% pensa che «Quando ci si sposa è per sempre», ma in calo, mentre il 76,3% pensa che «Anche un gay può essere un buon genitore», in crescita.

Un quadro articolato e complesso, in cui però tende a prevalere la ricerca di un’etica condivisa, capace di riaggregare radicamento e fenomeni emergenti. Il primato dell’io che ha contraddistinto gli scorsi decenni appare all’analisi longitudinale in fase di tramonto ormai da anni, come si vede dallo spostamento a sud del baricentro della mappa, corrispondente al consolidamento dei vincoli di appartenenza alla collettività. Ciò non comporta una nuova egemonia del noi ma apre una fase di transizione in cui sarà fondamentale la dimensione socioeducativa.

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