lunedì 20 maggio 2013
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Quando il Signore decise di distruggere Sodoma a causa dei peccati dei suoi abitanti, Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città. Davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?» (Gen 18,23-24). Uno di quei giusti che erano in mezzo agli empi ha da poco ottenuto dallo Yad Vashem il riconoscimento del titolo di Giusto delle Nazioni. È Gehrard Kurzbach, ufficiale della Wermacht che durante la guerra diresse un’officina di riparazione di veicoli militari a Bochnia, a cinquanta chilometri ad est di Cracovia. A Bochnia, dove prima dell’occupazione gli ebrei erano 3500, il 20% circa della popolazione, fu creato nel 1941 un ghetto in cui furono deportati anche altri ebrei della zona. Molti di loro lavoravano nell’officina militare di riparazione, a cui era a capo Kurzbach. Nel 1942, quando iniziarono le deportazioni nel campo di solo sterminio di Belzec l’ufficiale tedesco si diede a proteggere quanti ebrei poteva, nascondendo nell’officina quelli che vi lavoravano quando erano previsti rastrellamenti, radunando là anche le loro famiglie e rimandandoli nel ghetto quando il pericolo immediato cessava. Secondo le testimonianze, avrebbe così salvato duecento ebrei. Le dichiarazioni dei sopravvissuti sono numerose, e sono quelle che hanno determinato il riconoscimento che gli è stato conferito. Di Kurzbach non si hanno più notizie dopo il 1944, data delle sue ultime lettere ai famigliari dalla Romania. Aveva lasciato Bochnia nel 1943, probabilmente trasferito, anche se, secondo la testimonianza di alcuni degli ebrei da lui salvati, egli sarebbe stato invece scoperto ed arrestato. Alla cerimonia di consegna della medaglia di Yad Vashem, ritirata per la famiglia da un nipote, e tenutasi a Berlino nel novembre 2012, hanno partecipato il presidente della Repubblica federale tedesca Joachim Gauck e l’ambasciatore di Israele. Era presente anche uno degli ebrei salvati da Kurzbach, Romek Marber, sopravvissuto alla deportazione e divenuto in Inghilterra un grafico assai noto, autore di memorie sul periodo della Shoah in cui ricostruisce anche la vicenda di Kurzbach. Il suo ricordo di lui e della sua umanità  è stato caldo e affettuoso.Il riconoscimento di Giusto ad un ufficiale della Wermacht ci riporta al tema della responsabilità del popolo tedesco nella guerra di Hitler. Nell’immediato dopoguerra, com’è noto, gli Alleati sottolinearono con forza la responsabilità collettiva del popolo tedesco, nell’ambito della loro azione di "denazificazione". Sono gli anni in cui il filosofo  Karl Jaspers  parla di "colpa metafisica" dei tedeschi, mentre invece Hannah Arendt sottolinea la valenza sempre individuale di ogni responsabilità. Più tardi, l’idea della colpa collettiva avrebbe lasciato il posto ad una rimozione altrettanto collettiva, che sarà rotta solo alla fine degli anni Sessanta. Intanto, anche la ricostruzione storica contribuiva a sfumare il quadro dei filosofi, con la conoscenza della larghezza dell’opposizione ad Hitler testimoniata non solo dall’episodio dell’attentato di von Stauffenberg, ma delle decine di migliaia di comunisti, socialisti, cattolici detenuti a Dachau dal 1933 in avanti e gli altri esempi di resistenza, come quello dei giovani della Rosa Bianca. E possiamo anche ricordare le responsabilità immani dei collaborazionisti non tedeschi, dal regime di  Vichy a quello di Salò, dagli ustascia croati alle Croci Frecciate ungheresi.Che cosa mosse Kurzbach a questa rischiosa opera di salvataggio? Sappiamo troppo poco di lui per ipotizzare convincimenti politici o anche una forte spinta religiosa, i due moventi che hanno avuto la maggior forza nello spingere i tedeschi alla resistenza contro il nazismo. Era un uomo come gli altri. Era nato a Posen nel 1915 in una famiglia tedesca che nel primo dopoguerra, quando Posen era ridivenuta polacca, era emigrata in Slesia. Era una famiglia modesta, suo padre era un meccanico e lui stesso, prima di essere arruolato, lavorava nell’officina del padre. Si era sposato nel 1940. Nel sito di Yad Vashem possiamo trovare di lui varie foto, fra cui appunto quella del suo matrimonio, ed altre in divisa della Wermacht. Ma anche se non sappiamo molto di quello che Kurzbach pensava e provava mentre salvava gli ebrei, sappiamo certamente che era mosso da una forte reazione morale contro il Male, che tentava di fare il possibile per salvare quelle vite di ebrei che i nazisti stavano alacremente tentando di distruggere fino all’ultimo. Era uno dei Giusti di cui parla il testo biblico a proposito di Sodoma. Quello che ha fatto è andato molto oltre quello che altri tedeschi, nella stessa divisa, hanno in alcuni casi fatto, come ci testimoniano tanti racconti del tempo: chiudere un occhio di fronte ad un bambino che fuggiva durante un rastrellamento, trattare dei detenuti con umanità, perfino avvisare degli ebrei che erano stati denunciati e lasciarli fuggire, come un ufficiale della Wermacht ha fatto con i miei nonni, consentendo loro di mettersi in salvo. Quello che Kurzbach ha fatto è stato operare attivamente, in modo pianificato, utilizzando il suo grado e il suo compito nell’esercito tedesco, per contrastare gli ordini ricevuti e salvare gli ebrei, invece di assassinarli. Per questo, la sua sola esistenza ci dimostra che la colpa non è mai collettiva, che la responsabilità è sempre individuale, nel bene come nel male. Per questo l’esistenza di uomini come lui basta a salvare Sodoma.
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