mercoledì 5 aprile 2017
Il regista di Dublino torna in sala con “Il segreto”: «La società del secondo dopoguerra è fondata sulla menzogna. Il cinema ha il potere di dire alla gente come stanno le cose»
Rooney Mara e Jack Reynor in una scena del film “Il segreto” di Jim Sheridan

Rooney Mara e Jack Reynor in una scena del film “Il segreto” di Jim Sheridan

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Alla prima del suo nuovo film Il segreto che si è tenuta a Dublino nel febbraio scorso, Jim Sheridan ha voluto che gli ospiti d’onore fossero Mark e Cheryl, una giovane coppia di sposi rimasta vittima della bolla immobiliare e costretta a occupare l’Apollo House, un edificio pubblico nel centro della capitale. Il grande regista irlandese è stato uno degli intellettuali più impegnati in quell’occupazione che per settimane ha riempito le prime pagine dei giornali riuscendo ad attirare l’attenzione sulle gravi conseguenze sociali del tracollo finanziario di qualche anno fa. «Siamo riusciti a suscitare un dibattito sul problema e a sensibilizzare il governo ottenendo la concessione di nuovi alloggi popolari, tuttavia non ho mai creduto che le cose potessero cambiare da un giorno all’altro, né che la soluzione alla crisi passasse soltanto attraverso iniziative come quella», ci ha detto nei giorni scorsi a Roma, dov’è stato ospite del-l’Irish Film Festa.


Sei volte nominato all’Oscar, Sheridan è autore di pellicole memorabili che hanno scritto la storia del cinema irlandese contemporaneo come Il mio piede sinistro, Il campo, Nel nome del padre e The boxer. Alla rassegna romana ha presentato il suo nuovo film Il segreto (nelle sale italiane da domani), tratto dal romanzo di Sebastian Barry The Secret Scripture, e incentrato su temi a lui cari da sempre come la verità, la famiglia, la politica e la religione. Vent’anni esatti dopo The boxer è tornato a girare in Irlanda per raccontare la vita tormentata di un’anziana donna, Rose McNulty (una straordinaria Vanessa Redgrave), confinata da oltre mezzo secolo in un ospedale psichiatrico della provincia irlandese, accusata di aver ucciso suo figlio. Lo psichiatra Stephen Grene (Eric Bana) indaga per far luce sul suo passato e per capire le vere ragioni che l’hanno condotta all’internamento. Grazie a lui riemerge poco a poco la storia di Rose – che conserva i suoi ricordi in una vecchia Bibbia usata come un diario – sullo sfondo di un’Irlanda lacerata dai conflitti degli an- ni ’40. Nel cast figurano anche Rooney Mara, Jack Reynor, Theo James e Aidan Turner.

Cosa l’ha spinta a raccontare questa storia?

«Quello che mi ha colpito maggiormente del libro di Barry è il rapporto tra una madre e suo figlio, una vicenda che in un certo senso rispecchia fatti accaduti nella mia famiglia. Mia nonna che morì partorendo mia madre e la morte di uno dei miei fratelli. Mi sono sentito un po’ parte della storia raccontata nel romanzo».

L’Irlanda del Secondo dopoguerra descritta nel film è una società basata sulla menzogna. Perché ritiene che sia importante confrontarsi con storie che raccontano verità scomode? E in che modo gli irlandesi stanno facendo i conti con quel passato?

«È importante far sì che la gente possa conoscere la verità, impari a confrontarsi con essa e in questo senso il cinema e la televisione devono usare il loro potere straordinario per far conoscere certi fatti. Quando gli inglesi abbandonarono il sud dell’Irlanda negli anni ’20 lasciarono un paese privo di qualsiasi infrastruttura, la società fu costretta a ripartire da zero. Il governo di Dublino lasciò alla Chiesa il compito di riempire i vuoti lasciati dagli inglesi nella scuola, nella sanità e nella vita di tutti i giorni. In una società che meno di un secolo prima aveva conosciuto una terribile carestia, con decine e decine di migliaia di persone morte o costrette all’emigrazione, il terrore nei confronti delle gravidanze non volute era enorme nella testa di tutti e fu la causa principale di fatti orribili. La gente è scioccata, prova rabbia e vergogna, ma è anche contenta che certe storie vengano finalmente a galla. L’Irlanda è un paese conservatore ma al tempo stesso molto radicale».

Sebastian Barry ha affermato che l’adattamento cinematografico del suo romanzo è notevolmente diverso rispetto alla storia raccontata nel suo romanzo. Come risponde alle sue critiche?

«Dico che ha ragione, ma ricordo anche che gli fu chiesto di lavorare alla scenografia e non ha voluto di farlo. Il cinema è un mezzo diverso dalla letteratura e impone delle scelte diverse. È impossibile raccontare cento anni in un film, servirebbero dieci ore di pellicola. Ho ricevuto critiche simili in precedenza anche per altri miei lavori, da un lato capisco gli autori che non si riconoscono nelle trasposizioni cinematografiche, ma io cerco sempre di lasciar perdere, di non farci caso».

A suo avviso quali potrebbero essere le possibili conseguenze della Brexit sull’Irlanda? Crede che possa facilitare un eventuale percorso referendario verso la riunificazione del paese?

«Non so se la Brexit avrà qualche effetto sulla riunificazione, ma di certo potrebbe aiutare a far comprendere che è assolutamente folle avere un confine che divide un paese così piccolo. Nessuno può sapere adesso cosa accadrà per esempio alle persone che hanno un passaporto britannico, molto dipenderà dal modo in cui l’Inghilterra uscirà dall’Unione. Ma a mio avviso la gente del Nord non voterebbe a favore della riunificazione, credo che la maggioranza opterebbe per la permanenza nella Gran Bretagna. E penso anche che un referendum sui confini comporti notevoli rischi perché potrebbe innescare nuove violenze alimentando gli estremismi. Ne abbiamo avuto davvero abbastanza, adesso vorremmo vivere in una società pacifica e civile. In un modo o in un altro, gradualmente, penso che l’Irlanda tornerà unita».

Nell’Irlanda di oggi c’è un problema gravissimo che riguarda i senza fissa dimora, si parla di un aumento di circa il 40% in un solo anno. Lei si è impegnato con gli attivisti della coalizione “Home Sweet Home” che nei mesi scorsi avevano occupato l’Apollo House di Dublino. Crede che quella campagna sia riuscita ad attenuare in qualche modo la crisi abitativa?

«Quell’occupazione è stata solo la punta dell’iceberg, la parte visibile di un problema ben più vasto, ma concordo con padre Peter McVerry, il gesuita che lavora da decenni per i senzatetto irlandesi, secondo il quale siamo riusciti a dargli un risalto mai visto prima d’ora. Accrescere la consapevolezza dell’opinione pubblica è fondamentale ma poi spetta al governo fornire alloggi popolari e sviluppare politiche adeguate delle quali possano beneficiare tutti».

Cosa può dirci dei suoi progetti futuri?

«Attualmente sto lavorando a un film sulla grande fuga del 1983, l’evasione dei 38 prigionieri del-l’Ira dal carcere di Long Kesh, e anche a una pellicola sull’attentato di Lockerbie, l’esplosione in volo dell’aereo della Pan Am nel 1988».

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