lunedì 7 maggio 2012
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Appena avremo piazzato un numero consistente di alberi lungo la linea della muraglia, a Dakar la polvere diminuirà». Sarr Papa è il direttore del progetto della Grande Muraglia Verde in Senegal. Guida veloce verso Sud nel traffico caotico della capitale. Sta per mostrarci un’utopia, uno dei progetti più faraonici dell’ex presidente Abdoulaye Wade: due milioni di acri di alberi da piantare su 4300 miglia di distanza attraverso 11 nazioni africane, da costa a costa. Il governo senegalese spera che la Grande Muraglia Verde fermi l’allargamento del deserto del Sahara verso Sud, ma gli osservatori internazionali la vedono come un antidoto alla povertà. «La stagione delle piogge sta avanzando sempre più: prima arrivava in luglio o agosto, ora non si avvia fino a settembre. Il clima sta decisamente cambiando e cambiano anche i lavori stagionali», sentenzia Sarr Papa. Del resto, non è un mistero per nessuno che dal 2005 la situazione è pessima: tutta la zona del Corno d’Africa è teatro della peggiore crisi alimentare degli ultimi 30 anni, a causa della lenta ma inesorabile avanzata del deserto che inghiotte i terreni rimasti fertili. Ma i Paesi interessati dal progetto della Muraglia, che potrebbe arginare il problema (Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Sudan, Eritrea, Etiopia, Ciad, Gibuti) stentano a trovare un accordo. Nel 2011, durante la "Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione", i rappresentanti dei governi africani si sono incontrati a N’Djamena, in Ciad, per istituire un’Agenzia Panafricana di coordinamento del progetto: ogni Paese partecipante avrebbe dovuto gestire autonomamente il sistema articolato in parchi agroforestali, zone agricole e aree dedicate alla pastorizia. Ma le opere concrete non sono state ancora messe realmente in atto. È possibile saggiarlo a Widou Chigoli. Rispetto a Dakar siamo in un altro mondo. Questo è il Sahel, una zona di transizione tra le giungle equatoriali del Sud e il Sahara a Nord. È una savana secca: le piatte di acacia (unica vegetazione in una regione dove la stagione senza piogge può durare fino a dieci mesi) punteggiano il paesaggio sabbioso. Qui sono stati già piantati dodici mila ettari della Grande Muraglia verde. Le acacie hanno solo quattro anni di vita, sono alte e spinose. Gli alberi sono circondati da un firewall, ossia da uno spazio privo di vegetazione che è capace di arginare un incendio circostante al luogo della riforestazione. Una recinzione metallica tiene fuori le capre dalla portata degli alberi. Sarr Papa apre la strada attraverso la recinzione, per controllare questa piccola zona di confine del Senegal interessata dalla realizzazione della Grande Muraglia Verde. Dice che qui gli alberi «si scelgono con cura» e aggiunge: «Quando progettiamo, per prima cosa, guardiamo gli alberi locali e cerchiamo di capire cosa si può far crescere meglio là, cerchiamo di imitare la natura. In totale abbiamo piantato sette diverse specie di alberi di acacia. Piantiamo all’incirca due milioni di alberi ogni anno». La finestra temporale per piantare alberi è breve. Deve essere eseguita durante la stagione delle piogge, quando gli operai lavorano per lunghe giornate, fertilizzando la terra con il letame animale. L’obiettivo è fornire un beneficio economico immediato agli abitanti del villaggio. L’acacia nilotica, ad esempio, produce gomma arabica utilizzata in medicina locale e anche un frutto molto appetito dagli animali. Guncier Yarati, alta e magra, è una delle donne volontarie di etnia Peul che cura l’orto, pieno di carote, cavoli, pomodori, angurie. «Mi piace lavorare qui, con i miei amici, ridere e scherzare mentre lavoriamo. Adesso riesco a coltivare le verdure, raccoglierle, mangiarle. Ogni tanto, a venderle». La maggior parte dei giardini sono innaffiati con il sistema di irrigazione a goccia. Un tubo con fori fornisce la giusta quantità di acqua per ogni pianta per ridurre al minimo la perdita di evaporazione. Ma alcune piante sono innaffiate a mano. Nime Sumaso versa la brocca d’acqua sulle carote. «Il progetto della Muraglia è stato importante per noi: aiuta le donne della nostra comunità». Il mercato più vicino al villaggio dista 30 miglia. Nime e Guncier si spostano lì ogni giorno, con un carretto trainato dai cavalli. Gli uomini al mattino presto si riuniscono intorno alle fontane portando con loro le mucche bianche, dalla gobba d’asino e dalle corna giganti: il bestiame ha bisogno di molta acqua.
I colonizzatori francesi lo sapevano bene: per questo avevano costruito pozzi per l’acqua ogni 20 miglia. Alfaca è un pastore: «Piantare alberi è un bene per noi: possono portare acqua e l’acqua è il nostro futuro. Preghiamo affinché questo progetto vada in porto». Ma è davvero un progetto sostenibile o la solita utopia pompata a fini elettorali? La Grande Muraglia Verde ha ricevuto 108 milioni di dollari dal Global Environment Facility Sinnassamy e altri 1,8 miliardi di dollari dalla Banca Mondiale. Gli 11 Paesi coinvolti nel progetto si stanno impegnando a compiere progressi, ma ci sono troppe sfide da affrontare: la povertà, le stagioni mutevoli, l’instabilità politica. Se il Mali ha appena conosciuto il colpo di stato militare, ad esempio, non è chiaro se il neo eletto presidente del Senegal, Macky Sall, si impegnerà per la Grande Muraglia Verde come il suo predecessore. Le persone che vivono qui sperano, comunque sia, che le piogge arrivino, nonostante gli scienziati dicano il contrario: in Africa i due terzi delle terre coltivabili diventeranno aride entro il 2025.
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