venerdì 5 giugno 2015
​A distanza di 50 anni la nuova edizione della colonna sonora per i diritti dei neri negli States.
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«Il mondo intero si sta interrogando su cosa ci sia di sbagliato negli Stati Uniti: vogliamo la pace, se la si potesse trovare, e resteremo sull’autostrada della libertà finché non si farà giorno». Non sono parole riferite agli odierni tumulti che negli States seguono i ripetuti atti di violenza delle forze dell’ordine nei confronti di persone di colore. Queste parole risalgono a cinquant’anni orsono: e vengono da una canzone, Freedom Highway, autostrada della libertà, scritta in conseguenza di eventi simili che sembravano essere stati decisivi per cambiare molte cose, e oggi invece lasciano la storia per tornare tragicamente nella cronaca. Ma proprio per questo ha un valore che va ben oltre quello artistico, la ristampa su Cd ampliata e rimasterizzata Freedom Highway complete, dal titolo dello storico concerto tenuto venerdì 9 aprile 1965 nella New Nazareth Church di Chicago dagli Staple Singers, il cui leader è anche l’autore di Freedom Highway.
Ma per capire bene di che si tratta occorre tornare al marzo 1965, nel pieno della lotta per i diritti civili negli States con Martin Luther King in prima fila: nonché, proprio in quei mesi, prima incarcerato e poi pubblicamente spronato da Paolo VI alla vigilia della legge che finalmente estese il diritto di voto anche agli americani di colore. Tra il carcere e Papa Montini, Martin Luther King fu tra i promotori di una marcia: che avrebbe portato sì a quella legge, ma a quale prezzo. Gli 87 chilometri da Selma a Montgomery, in Alabama, vennero infatti percorsi solo al terzo tentativo. Il primo, il 7 marzo, fece coniare il termine Bloody Sunday, domenica di sangue, per le violenze delle forze dell’ordine sui manifestanti: che invasero giornali e tv (come accade oggi) inasprendo la tensione. Il 9 marzo la marcia fu rimessa in cammino, ma dovette fermarsi ancora a causa dell’eccessivo rischio di fare il bis delle violenze. Poi finalmente il 21 marzo quarantamila attivisti partirono da Selma e in 20mila giunsero a Montgomery: ma scortati da migliaia di militari, persino l’Fbi. In tutto questo, voi direte, che c’entra un disco? C’entra: perché Roebuck “Pops” Staples, chitarrista e cantante che veniva dal blues del Mississippi e lo stava fondendo col gospel, fu cronista della faccenda ben più di molti intellettuali. «Io scrivo seguendo gli eventi», dichiarò: «Anzi, se un autore volesse comporre per me dovrebbe partire dai titoli dei giornali». E difatti lui e gli Staple Singers, ovvero “Pops” e i tre figli Yvonne, Mavis e Pervis, cantarono a Chicago durante una funzione mescolando preghiera e attualità, in una pagina di storia della musica che (fortunatamente ripresa dal vivo) testimonia non solo quelle marce per i diritti civili, ma tutto un periodo di lotte decisive per l’oggi. L’Lp pubblicato nel ’65, 11 brani per 44 minuti, era stato però mixato togliendo il pubblico; ora su Cd quella sera di riflessione e preghiera è un vero e proprio tuffarsi nella chiesa di quel giorno, sentendone respiri e commenti (anche di chi non amò si trattassero temi politici) con tutti i 18 passaggi e i 77 minuti del programma originale. Quindi When The Saints Go Marching In, The Funeral che canta la difficoltà di comprendere le vie del Signore e la storica We Shall Overcome; ma stavolta pure i discorsi, l’inedita unione socio-musicale blues/gospel e campagna/città nel passare da What You Gonna Do? a Precious Lord, Take My Hand, brani sinora mai ascoltati come Jesus Is All, Samson And Delilah e View The Holy City, soprattutto le versioni integrali di He’s All Right (con cui Staples sottolineava il rischio anche di chi cantava per i diritti) e della stessa Freedom Highway. Di cui l’autore specificò il peso: «Dagli eventi di marzo abbiamo capito molto, la canzone la scriviamo per questo. Per non dimenticare chi ha marciato e ricordare che non lo si è fatto se non per la libertà». Ora la strada percorsa dagli attivisti cinquant’anni fa è strada storica nazionale degli States, e “Pops” se n’è andato nel 2000, un anno dopo l’inclusione degli Staple Singers nella Hall Of Fame del rock e a trent’anni dall’aver portato il gruppo nelle hit rinnovando non poco la black music (Respect Yourself e Let’s Do It Again, fra i loro brani più noti). Ma ha fatto in tempo anche a essere criticato perché suonava con musicisti bianchi e ha dovuto lottare duramente (si sente anche nel Cd) perché il gospel fosse considerato meritevole di compenso. E chissà cosa avrebbe pensato, “Pops”, di una ristampa le cui note di copertina iniziano dicendo: «Siamo ai tempi in cui in America c’è tensione e basta un nonnulla perché un bianco delle forze dell’ordine uccida un nero disarmato». Perché si parla del 1965, ma sembra oggi: perché la ristampa di Freedom Highway è una fortuna, certo. Ma fa pensare, che quella messa suoni tuttora attualissima.
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