sabato 11 agosto 2012
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«Domani italiani kaputt». Curvi sotto il peso degli enormi zaini, gli alpinisti risposero con un sorriso al non proprio benaugurante saluto del malgaro svizzero che, mentre sorvegliava le mucche, guardava gli uomini marciare verso la grande parete. Mezzo secolo fa non avevano ancora l’ossessione dello spread, eppure il confronto con i vicini d’oltralpe era comunque acceso e, spesse volte, si giocava proprio sulle montagne. Per tutta la prima metà del Novecento, italiani e tedeschi si erano spartiti le principali realizzazioni sulle Alpi. Ma c’era una montagna che svizzeri e germanici consideravano una sorta di proprietà privata e lo dicevano a chiare lettere: «Non è un posto per italiani». Questa montagna era l’Eiger, l’«Orco» secondo gli alpinisti, con la sua terribile parete nord, una trappola di roccia e ghiaccio alta 1800 metri. Nell’estate del 1962, però, la storia era destinata a cambiare e anche gli italiani avrebbero finalmente scalato la Nordwand. Nel 50° anniversario, il Club alpino italiano ha dedicato all’impresa il bollino 2012 che gli oltre 320mila soci hanno applicato alla tessera personale. A onor del vero il simbolo dell’Oberland bernese, che svetta a 3.970 metri sui prati di Grindelwald – salito, per la prima volta da nord nel 1938, proprio da una cordata austro-tedesca – era da quasi trent’anni nel mirino degli alpinisti nostrani, che però fino a quel momento avevano solo rimediato grandi tragedie. Due su tutte: quella dei veneti Bortolo Sandri e Mario Menti, precipitati dalle placche strapiombanti nel 1937, e quella dei lecchesi Claudio Corti e Stefano Longhi del 1957, con il secondo morto di fatica e rimasto per due anni a penzolare esanime sull’abisso, appeso alle corde, fino a quando non fu recuperato e pietosamente ricomposto. Entrambi gli incidenti furono provocati dall’improvviso mutare del tempo. Sull’Eiger, infatti, si possono trovare condizioni invernali anche in piena estate e, mentre la valle risplende al sole e i prati sono pieni di fiori, lassù si può scatenare un violento temporale o una forte nevicata. Anche per porre fine alle feroci polemiche divampate dopo la tragedia del ’57, era necessario che una cordata italiana riuscisse nell’impresa di salire l’Eigerwand riportando a casa la pelle. Così nell’agosto di 50 anni fa ben sei alpinisti si ritrovarono sulla Nord, come racconta Giovanni Capra nel libro Due cordate per una parete (Corbaccio). Sabato 11 attaccò la cordata guidata da Armando Aste, tra i maggiori dolomitisti del dopoguerra, composta anche da Franco Solina e Pierlorenzo Acquistapace. Poche ore dopo, all’alba di domenica 12, compì i primi passi sulla parete anche la cordata di Andrea Mellano, Gildo Airoldi e Romano Perego. La cosa buffa è che i due gruppi si mossero l’uno all’insaputa dell’altro. A quel tempo, infatti, la prima italiana alla Nord dell’Eiger era un boccone troppo ghiotto e chi ci metteva gli occhi sopra di certo non lo andava a spifferare ai quattro venti. Grande fu allora la sorpresa quando, a circa metà parete, le due cordate si incontrarono e, dopo un attimo di comprensibile smarrimento, decisero di proseguire insieme, riconoscendo ad Aste il ruolo del leader. Armando subito dettò la strategia: «Voi che siete bravi ghiacciatori – disse a Mellano, Airoldi e Perego – andrete avanti sui nevai e noi andremo avanti sulla roccia». Per avanzare in sicurezza, evitando le frequenti scariche di sassi, i sei decisero di arrampicare soltanto nelle ore più fredde e, quindi, dall’alba a mezzogiorno. Dopo, cercavano un posto per il bivacco e si preparavano a passare la notte. Una strategia molto criticata all’epoca, tanto che ci fu anche chi disse che le due cordate fossero andate sull’Eiger a «pascolare». In ogni caso, dopo tante tragedie, per la prima volta ben sei alpinisti sbucavano, senza un graffio, dall’orrendo abisso della Nordwand.Erano le 14,30 di giovedì 16 agosto 1962: finalmente la Nord dell’Eiger, la parete delle pareti, parlava italiano. «Unendoci – ricorderà anni dopo Andrea Mellano – abbiamo acquistato una tale forza d’urto che ci ha permesso di affrontare le difficoltà con un margine di sicurezza notevole». Ma sull’Eiger le sorprese non erano ancora finite. Saputo del tentativo in atto, un’altra cordata attaccò in quei giorni la parete. Era composta da Nando Nusdeo di Monza e dal lecchese Giuseppe Alippi. Se non potevano essere i primi italiani in vetta, almeno avrebbero firmato la seconda ripetizione. E invece, ancora una volta, il destino decise diversamente. Dopo aver attaccato alle 3 del pomeriggio di Ferragosto, i due salirono veloci superando le difficoltà iniziali. Verso sera, quando già pensavano ad attrezzare il bivacco, videro due uomini scendere slegati. Erano inglesi e, fatti pochi metri, uno dei due cominciò a precipitare, fermandosi fortunatamente poche decine di metri sotto. Anche l’altro era piuttosto malconcio e impossibilitato a proseguire. In un attimo, Nusdeo e Alippi devono decidere: o proseguire verso la vetta, abbandonando gli inglesi a morte certa, oppure soccorrerli, rinunciando alla salita. Non hanno esitazioni e, dopo notevoli peripezie, riescono a riportare a valle, sani e salvi, i due alpinisti. «Domani italiani kaputt», aveva detto il contadino svizzero. E invece, in quell’estate di cinquant’anni fa, sull’Eiger gli italiani non solo conquistarono la cima, ma salvarono anche due vite.
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