venerdì 28 aprile 2023
François Jullien analizza l’impermeabilità al cristianesimo di una cultura forgiata dal taoismo, pragmatica e lontana dalla ricerca teologica. Una dimensione ormai diffusa nel nostro continente
Una chiesa cattolica a Dali, in Cina

Una chiesa cattolica a Dali, in Cina - WikiCommons / CC-by-3.0

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Con molta probabilità se il primo grande viaggiatore del cristianesimo, san Paolo, avesse intrapreso la via dell'Est invece dell'Ovest, avrebbe pensato dei cinesi quanto disse dei greci: erano in tutto e per tutto pii e timorati verso gli dei. Ma in entrambi i casi si può parlare di fede?

L'evangelizzazione dell'Oriente (o meglio, la sua mancata evangelizzazione) è una questione aperta che nel corso dei secoli ha interpellato e spronato decine e decine di missionari. Lungo la Via della seta, domenicani, francescani e infine gesuiti sono riusciti a più riprese a penetrare fino in Estremo Oriente, senza però mai essere in grado di impiantare il cristianesimo con reale efficacia, tranne che nelle Filippine e in Corea. Si conoscono i tentativi dei nestoriani nel VII secolo, dei frati minori nel Trecento (da Giovanni da Pian del Carpine a Giovanni da Montecorvino). Tutti respinti da una civiltà, quella cinese, che mal tollerava nuove religioni: unica in qualche modo stabile eccezione il periodo della pax mongolica, fra Due e Trecento, che vide l'Asia aprirsi a mercanti e missionari a tal punto che a Pechino poté insediarsi un arcivescovo cattolico. Fu a quel tempo che i papi poterono addirittura sognare un'alleanza strategica fra cristiani e tartari contro i musulmani, per la riconquista di Gerusalemme. Ma il trionfo della dinastia Ming portò con sé una fortissima ondata xenofoba. E i francescani dovettero rinunciare. Non miglior sorte avrebbero avuto, in età moderna, Francesco Saverio e Matteo Ricci, nonostante il metodo dell’inculturazione avviato da quest'ultimo avesse dato ottimi risultati, tanto da essere ancora ricordato in Cina.

Quell'antico confronto fra cristianesimo e confucianesimo, taoismo e buddhismo sembra oggi riproporsi con le stesse domande del passato, cui si aggiunge la sfida che il potere di seduzione delle religioni orientali suscita nel mondo occidentale. Ora è il filosofo francese François Jullien a cimentarsi sulla questione con un saggio dal titolo emblematico, Mosè o la Cina. Quando l’idea di Dio non si sviluppa, da poco edito da Medusa (pagine 250, euro 25,00), con prefazione di Mario Porro. Esplicitamente non credente, Jullien, noto per i suoi lavori sullo scarto fra la cultura occidentale, segnata dalla Grecia, e quella cinese, in un volume precedente (Risorse del cristianesimo, Ponte alle grazie, 2019) aveva mostrato grande attenzione alla fede cristiana come elemento imprescindibile della cultura europea rileggendo il Vangelo di Giovanni. Senza ovviamente voler riproporre una filosofia cristiana ma nemmeno anticristiana: per questo, più che di valori o radici preferiva parlare di risorse, un termine che piacerebbe a papa Francesco.

Nel nuovo saggio Jullien prende invece atto dell’enorme crisi del cristianesimo in Europa: la questione di Dio, egli dice, ha appassionato il Vecchio continente per secoli, tanto da aver fatto discutere teologi e filosofi e da avere in un certo senso “fatto” l’Europa, ma ora va disfacendosi e non pare interessare quasi nessuno. L’indifferenza regna sovrana e allora vale la pena riproporre il confronto culturale con il pensiero cinese. Partendo dalla provocazione di Pascal, che in uno dei suoi Pensieri annotò: «Quale dei due è più credibile, Mosè o la Cina?». A segnare lo scarto profondo fra le due culture, tanto che Montesquieu un secolo dopo a sua volta sentenziò: «È quasi impossibile che il cristianesimo si stabilisca mai in Cina».

La ragione per Jullien è da ricercare nel lontano passato, risalendo al secondo millennio prima della nostra era, quando la trascendenza concepita in Cina a poco a poco si trasformò in etica e la religione tutt’al più fu vissuta come culto degli antenati. Lo svuotamento che si verificò divenne indifferenza alla questione di Dio, a partire dal concetto di Creazione, e il significato dell’esistenza venne a coincidere col pragmatismo. Mentre nella storia dell’Occidente l’affaire Dio è stato motivo di lacerazione e di angoscia, in Cina attraverso le varie dinastie e le varie filosofie – confucianesimo e taoismo – erano la condotta dell’uomo e «il corso naturale del processo del mondo» a diventare giudizio supremo di bontà e fiducia, il principio regolatore della vita umana.

Anche il buddhismo, proveniente dall’India, venne depurato e annacquato. Osserva Jullien: «Mentre il cristianesimo acutizza le contraddizioni per scavarvi una mancanza che induce alla disperazione e di conseguenza chiama tanto più imperiosamente a credere in Dio per salvarsene, il taoismo s’impegna a dissolvere le contraddizioni, denunciando il loro carattere fittizio: lascia apparire la naturalità del “così” e porta ad accoglierlo». Il pensiero cinese infatti «non ha conosciuto la tensione feconda e dolorosa che, scavata in seno al verbo credere, ha condotto in avanti l’Occidente. Ha pensato continuamente l’armonia».

Anche l’Europa dunque, seguendo la lezione cinese, farà a meno di Dio e il senso supremo del vivere coinciderà con un’etica pragmatica del fare bene le cose senza rimandare a un perché ulteriore? Per Jullien è qui che siamo arrivati e dobbiamo rassegnarci al massimo a «questo credere debole, o mediano, che si guarda dai pericoli della credenza come della miscredenza». Del fondamentalismo e del nichilismo, insomma. L’unico spazio riservato al cristianesimo pare quello dell’agape, anche perché «il pensiero del tao diffida dell’amore per il fatto che esso monopolizza e fa perdere la correlazione che regge il mondo». Di qui il riferimento a Simone Weil per la quale il mondo ha bisogno di Dio e l’uomo del suo amore: una fede che non può essere ridotta all’etica come già avvertivano ancora Pascal e Kierkegaard. Il dissolvimento dell’idea di Dio nel “culturale”, a Oriente come a Occidente, si scontra con la logica dell’incarnazione e la suprema regola dell’amore che regge il mondo.

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