sabato 12 ottobre 2019
Si è chiuso il procedimento avviato da una legge del 2014 che ha consentito ai discendenti degli ebrei cacciati dalla Spagna alla fine del XV secolo di “riacquisire” la "perduta" cittadinanza iberica
La cacciata degli ebrei dalla Spagna in un'antica incisione

La cacciata degli ebrei dalla Spagna in un'antica incisione

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Il colombiano Andrés Villegas spera di trascorrere «una gradevole vecchiaia » in Spagna. E per questo non gli è costato spulciare nei registri ecclesiastici e perfino negli archivi dell’Inquisizione di Cartagena, che condannava chi praticava riti ebraici, per risalire ai suoi avi. In particolare al capitano Cristobál Gómez de Castro, che nacque nel 1595 e fu perseguitato per diffondere l’ebraismo. Andrés Villegas è uno delle decine di migliaia di ebrei sefarditi che recupereranno la nazionalità spagnola persa oltre cinque secoli fa dai propri ascendenti, cacciati in massa per effetto dell’editto di conversione al cattolicesimo o di espulsione degli ebrei (Decreto di Alhambra), firmato il 31 marzo del 1492 dai Re Cattolici. È all’origine della diaspora che pose fine a 1.500 anni di presenza degli ebrei a Sefarad, il toponimo col quale la tradizione ebraica identificava la penisola iberica, per cui i discendenti sono identificati come ebrei sefarditi.

Molti si rifugiarono nell’adiacente Portogallo, in nord Africa, nei Balcani, in Turchia, ma anche in Sardegna e Sicilia, sotto il dominio spagnolo, e poi nelle Americhe. «Alcuni di loro, come avviene nei bazar di Istanbul, ancora conservano le chiavi delle case dalle quali furono cacciati», ricorda Ibrahim Lorenz, sefardita marocchino naturalizzato spagnolo. Per riparare quella «ingiustizia storica», il governo di Madrid varò nel 2014 un disegno di legge per riconoscere la nazionalità - senza perdere quella d’origine - a tutti coloro in grado di dimostrare, con un certificato della Federazione delle comunità ebraiche in Spagna o dell’autorità rabbinica riconosciuta nel proprio Paese, la propria condizione di sefarditi per cognome, lingua, parentela e vincoli speciali con la cultura sefardita. La normativa, approvata all’unanimità dal Parlamento, puntava a «riparare un aggravio storico».

Il primo ottobre scorso, alla scadenza del termine previsto dalla normativa, sono state 149.822 le richieste pervenute al Ministero di giustizia e al Consiglio generale del notariato, delle quali oltre 72 mila nel solo ultimo mese, in gran parte provenienti dall’America Latina: circa 20 mila dal Messico, 15 mila dal Venezuela e 10 mila dalla Colombia. «I sefarditi non sono più 'spagnoli senza patria'», ha celebrato Isaac Querub, presidente della Federazione di comunità ebraiche, promotrice dell’iniziativa con l’allora ministro di Giustizia, Alberto Ruiz-Gallardon. «La Spagna ha chiuso una ferita storica con un atto di giustizia perdurante nella memoria», ha rilevato. Un rush finale per quello che è stato un percorso ad ostacoli, «relativamente difficile », secondo il quotidiano israeliano "Haaretz". Con la proroga di un anno della dead line, sono stati infatti semplificati alcuni dei requisiti richiesti. Non solo per la difficoltà delle comunità ebraiche di evadere le numerosissime petizioni, ma anche per la necessità di sostenere esami all’Istituto Cervantes, per accreditare la conoscenza di lingua e cultura spagnola. Più di tutto, l’esigenza di doversi recare in Spagna per registrare in atto notarile l’origine sefardita ha rappresentato un ostacolo per i circa 2 milioni di sefarditi stimati inizialmente da Madrid come eredi degli almeno 200 mila deportati e dispersi nel XV secolo.

«Nello spirito della legge c’è una sorta di risarcimento storico, per compensare la sofferenza che i sefarditi hanno manifestato nei secoli nella propria letteratura, poesia e canzoni», spiega Santiago Palacios, dottore di Storia Medievale all’Università Autonoma di Madrid. «Ma – afferma – è puramente simbolico. Colpisce che non sia stato avviato lo stesso processo con i moreschi, che soffrirono le stesse persecuzioni, per la comunità musulmana oggi radicata in prevalenza nel Magreb». Per alcuni, come Doreen Alhadeff, statunitense di 69 anni di Seattle, che ha ottenuto la nazionalità per sé e le due nipoti, è stato più facile. In casa ascoltava parlare ladino, lo spagnolo che dal Medioevo le comunità sefardite ancora conservano. «Sentivo che era stato tolto qualcosa di importante alla mia famiglia e volevo recuperarlo», ha scritto nelle sue motivazioni. Per altri, come lo scrittore francese Pierre Assouline, è stato più difficile. «Ho amici francesi che hanno ottenuto il passaporto spagnolo in maniera più rapida, è deludente», spiega l’autore, che nel suo dossier ha incluso una lettera al re Felipe VI. La misura di «riconciliazione» consente di avere un passaporto europeo che, per molti latinoamericani, è il principale obiettivo. Da qui la corsa finale. Già nel 2007 il governo socialista di Zapatero lanciò un’iniziativa di 'riparazione' nei confronti dei discendenti di spagnoli emigrati durante la Guerra civile (1936-39) e il franchismo, naturalizzando mezzo milione di latinoamericani che riuscirono a provare la loro discendenza dagli esiliati.

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