martedì 17 luglio 2012
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​Il Marocco le ha dato i natali, il Bahrein l’opportunità di partecipare alla sua prima olimpiade, l’Italia l’ha adottata e con la maglia azzurra parteciperà a Londra 2012. Nadia Ejjafini s’appresta a vivere la sua seconda esperienza ai Giochi indossando l’azzurro per la prima volta dopo aver partecipato ad Atene 2004 con la casacca del Bahrein.A 35 anni Nadia Ejjafini si gioca la carta olimpica consapevole del fatto che il 5 agosto, d-day della maratona, sarà ai nastri di partenza certo non come favoritissima, ma per lo meno come outsider di lusso. «Spero di fare una bella prestazione tanto quanto per me che per la mia famiglia, per l’Esercito che per l’Italia, sarebbe l’ennesimo sogno che si avvera», spiega l’atleta, nata a Rabat e sposata con un italiano (Andrea Laddaga, ndr), caporale dell’Esercito e mamma di Sara, nata nel 2010. Già, i sogni. Ce ne erano tanti nella testa della Ejjafini, e lei li sta raggiungendo uno alla volta, a piccoli passi, senza fretta. Quella, la fretta, la mantiene in gara, come quando a Cremona, ottobre 2011, ottenne il record italiano della mezza maratona.Dice che «l’Italia mi ha accolto bene, qui ho realizzato la mia vita come donna, come atleta e come mamma», non prima d’aggiungere che «per chi come me pratica sport non c’è nessunissima differenza fra Marocco, Bahrein e Italia, insomma nel posto dove si pratica attività sportiva. Ma per esperienza personale - poi aggiunge - la differenza rimane nella gestione dei tecnici federali delle varie federazioni, che possono mandare alle stelle o in rovina lo sport nazionale». Quando partecipò all’Olimpiade ateniese, la Ejjafini era l’unica atleta donna impegnata nello sport in Bahrein «ma poi ne sono arrivate altre. E lo sport al femminile viene molto considerato anche in Marocco» spiega ancora mentre rammenta il successo a Los Angeles nel 1984 di Nawal Moutawakil nei 400 metri a ostacoli. Corse e vinse quasi trent’anni fa con la “mutanda”, fu un precursore dello sport nel suo Paese e oggi è membro del Comitato olimpico internazionale. «Ed è grazie alla sua carriera, al suo stimolo che il Re del Marocco ha cominciato a lanciare input positivi nei confronti dello sport al femminile». Le bastò una telefonata di dieci minuti per difendere i colori del Bahrein, il matrimonio in Italia le ha abbreviato i tempi, visto che per la «Iaaf quando uno sportivo cambia nazionalità deve poi aspettare tre anni per poter rappresentare il nuovo Paese di appartenenza nelle manifestazione importanti come mondiali, olimpiadi». È convinta del fatto suo, sa che può interpretare al meglio la gara olimpica ed è ben orgogliosa di rappresentare «il Paese che mi ha adottato. Ma questo – conclude Nadia Ejjafini con un velo di tristezza – significa anche che il mio Marocco ha perso un’atleta di livello, e così come me altri atleti. Tutto per colpa di qualche tecnico federale».
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