martedì 30 aprile 2019
In un libro il giornalista affronta da non credente l'urgenza personale e sociale di trovare una strada alternativa all'imperante e acritico giovanislimo consumistico trovando una sponda nel Vangelo
Crijn Hendricksz Volmarijn, “Cristo e Nicodemo”

Crijn Hendricksz Volmarijn, “Cristo e Nicodemo”

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«Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Lo stupore di Nicodemo nel colloquio notturno con Gesù, riferito dal Vangelo di Giovanni, condensa l’eterna incomprensione dell’uomo rispetto alla possibilità di «rinascere dall’alto», di ricominciare a qualunque età come il Signore propone all’inquieto fariseo non più sazio di quel che è e che sa, tanto da interrogarsi su di sé, ma senza darlo a vedere (e infatti va dal Maestro al riparo delle tenebre). Il dialogo sotto la volta stellata propone la ricerca senza fine di chi per esperienza e posizione sociale potrebbe sentirsi a posto e che invece si sente attratto dalla possibilità solo intravista di scoprire, lui già maturo, la possibilità di un nuovo inizio.

La domanda di Nicodemo torna con prepotenza tra le pagine del recente libro del giornalista Antonio Polito Prove tecniche di resurrezione. Come riprendersi la propria vita (Marsilio), che in una premessa e dieci sfide lanciate alla vita quotidiana traccia un laicissimo percorso autobiografico attraverso «il ribaltamento di prospettive che sto vivendo con l’avanzare dell’età», cioè l’inesorabile cernita nel proprio zaino esistenziale quando si veleggia ormai oltre i 60 nella più apparente normalità, ma con una contabilità dell’essenziale e del superfluo in pieno svolgimento nella stiva del cuore. Si tratta di decidere se lasciarla inascoltata fingendosi giovani per sempre oppure cogliere senza patemi quello che Polito definisce «avviso di mortalità», respingendo la pressione dello «spirito del tempo» che con tono suadente «suggerisce che sentirsi invecchiati sia indice di un disagio psichico». Non è «la solita crisi di mezza età», ma una vera e propria «rivelazione» dopo la quale a una coscienza sincera «tutto sembra diverso». E si capisce che serve un gesto forte, una ribellione. O una rinascita.

L’obbligo ingiunto alla fascia più adulta della società (numericamente sempre più rilevante) di vestire abiti di un’altra taglia ha una tale forza cogente che Polito ne parla come di una vera ideologia, il cui assunto centrale è che, «come il sesso nelle teorie del gender, l’età "è quella che uno si sceglie"». Un simile obbligo sociale finisce però col neutralizzare la domanda a occhi sgranati di Nicodemo: davvero posso risorgere in vita? La tensione «insopportabile» tra il sé percepito interiormente e l’immagine sociale a cui adeguarsi è «tra ciò che ormai si sa di essere e ciò che gli altri vorrebbero che si continuasse a fingere di essere». Prendere sul serio il tempo che passa ci pone nelle condizioni di comprendere il segreto di ogni età, le risorse impareggiabili che la connotano, il meglio di sé all’orizzonte e non dietro le spalle. Tattiche autoconsolatorie? Tutt’altro: è la chance di un nuovo inizio, quello che l’ascesi cristiana definisce "cominciare e ricominciare" e che nel libro Polito chiama «possibile resurrezione laica».

Il credente, per mano a Dio, mai dovrebbe pensarsi tramontato, perduto, spacciato, col count down che ticchetta. Ma anche i termini secolari risuonano di questa intuizione cristiana: il problema di chiudersi dietro le spalle la porta della pretesa di eterna giovinezza, annota Polito, «non si risolve provando a tornare ciò che si era prima, da giovane, trasformandosi in un replicante del sé di un tempo. Richiede piuttosto la soluzione opposta: si deve provare a rinascere, a cambiare se stessi, a diventare diversi e possibilmente migliori». Di educazione cattolica, Polito riconosce che è proprio quell’imprinting a impedirgli oggi di credere nella risurrezione annunciata dai Vangeli: quella dai morti «è competenza dei credenti, e io non lo sono», ma «arrivato a questo punto della mia vita sento ugualmente un impellente e disperato bisogno di risorgere».

Come si fa a volere «una cosa in cui non si crede?». Domanda senza sconti a cui il giornalista risponde riconoscendo che «l’idea di un Dio motore primo dell’universo non è così inconciliabile con la ragione, né con le leggi della natura rivelateci dalla scienza di Darwin e di Einstein». E anche sulla morale di stampo cristiano l’autore afferma che «più mi guardo intorno e meno trovo in giro princìpi etici più moderni e condivisibili di quelli introdotti oltre duemila anni fa dal cristianesimo». Non solo: «L’etica cristiana mi pare oggi l’unica che ci consenta di mantenere un rapporto con la dimensione del "naturale", di fronte alla hybris di un’epoca che crede di potersene far beffe, fino a terminare la vita senza morte o ad affittare uteri per generarla». Recuperare il senso del limite – sapersi mortali davvero –, con la domanda di Nicodemo nel cuore, libera dalla dittatura dell’efficienza e dello sciocco giovanilismo. Se i cristiani l’hanno perso di vista, è bello farselo ricordare da chi c’è arrivato per un suo diverso e liberissimo percorso. Disponendosi ad accogliere l’intuizione dell’uomo risorto in vita, così espressa poeticamente da papa Francesco: «Sussurratevelo fino a crederci: il vino migliore sta per arrivare».

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