venerdì 18 ottobre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Si chiama Vladimir Umanets e si considera un esponente del "Giallismo" (Yellowism), un fantomatico movimento d’avanguardia da lui fondato. Ventiseienne di origine polacca, il 7 ottobre 2012 si è recato alla Tate Modern con uno scopo ben preciso. Avvicinatosi alla tela Black on Maroon di Mark Rothko, una delle opere dei Seagram Murales donate dall’artista al museo londinese nel 1969, poco prima del suicidio, e valutata 50 milioni di sterline, Umanets con un pennarello nero ha aggiunto in basso a destra la propria firma seguita dalla frase: «potenziale pezzo di giallismo». All’accorrere del personale, l’imbrattatore si era già dileguato; verrà identificato tramite il sito che reclamizzava, oltre alla filosofia del movimento, le prodezze del fondatore. Arrestato, si è giustificato asserendo di non aver compiuto un crimine, ma un gesto simbolico, migliorando l’opera sia esteticamente che dal punto di vista del valore di mercato, grazie alla pubblicità sui media mondiali, paragonandosi infine a dadaisti, surrealisti e a Marcel Duchamp, che creava opere d’arte prelevando dalla realtà oggetti già definiti o di uso comune. Umanets è stato condannato a due anni di reclusione: per il restauro dell’opera occorreranno più di 200.000 sterline, poiché la macchia è penetrata in profondità, intanto il sito "giallista" ha visto decollare il numero di contatti. Non è la prima volta che vandali, rimasti spesso anonimi e impuniti, si accaniscono contro le tele di Rothko (25 settembre 1903 - 25 febbraio 1970), uno dei massimi esponenti del color field painting, quadri con estese campiture cromatiche, tali da comporre un dialogo di armonie e contrasti astratti. Sopra l’opera del 1956 The black and the white, approdata in Italia tra fine anni ’50 e inizio ’60, qualcuno pensò di apporvi il proprio parere estetico in modo lapidario e per iscritto: brutto! E la Tate Modern non è nuova a performance di sedicenti artisti: nel 2000 tentarono infatti di usare la Fontana di Duchamp, in realtà un orinatoio dei bagni pubblici, in maniera non troppo artistica. Fin qui l’azione eclatante di mitomani dalle aspettative autopromozionali ai danni di capolavori indifesi o quasi. Ma c’è pure chi li deturpa accampando motivazioni politiche, sociali o religiose. È accaduto il 7 febbraio 2013, nella nuova sede del Louvre inaugurata da poco a Lens, nel nord della Francia. Poco prima della chiusura, una ventottenne armata di evidenziatore ha inserito nella parte bassa del capolavoro di Eugène Delacroix La libertà che guida il popolo (1830), simbolo della Francia repubblicana, la sigla di un sito internet dove è possibile firmare una petizione per riaprire l’inchiesta sull’attentato dell’11 settembre alle Torri gemelle. E come dimenticare le due colossali statue dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, erette più di 1500 anni fa, risparmiate da Mahmud di Ghazni nell’XI secolo e distrutte nel 2001 dall’iconoclastia talebana? Nella basilica di San Pietro, verso la fine del 1969, la statua di Pio VI eseguita da Canova viene colpita a martellate; tre anni dopo, maggio ’72, tocca alla Pietà di Michelangelo. È Laszlo Toth, uno squilibrato ungherese, ad accanirsi con un martello, rompendo il braccio sinistro e il naso della Vergine, reintegrati poi dai tecnici vaticani recuperandone i frammenti e rinsaldandoli con la polvere di marmo di Carrara. Al Prado di Madrid, nell’86, un altro squilibrato ha praticato un foro nel <+corsivo>Cardinale<+tondo> di Raffaello; l’anno successivo è un disegno di Leonardo, alla National Gallery di Londra, a essere centrato da una pallottola. Più sfortunata la Ronda di notte di Rembrandt, al Rijksmuseum di Amsterdam: nel 1915 fu graffiata da un calzolaio; sessant’anni dopo fu segnata dagli squarci di tredici coltellate; e nel ’90 fu lanciato dell’acido solforico sulla tela. Accanimento e spavalderia: nel giugno 2012 a Houston un ignoto si è ripreso con una videocamera mentre adoperava una bomboletta spray contro un’opera di Picasso. Può poi accadere, come alla Tate Modern, che un visitatore inciampando caschi su un Miró; o che, alla Tate Britain, un inserviente getti tra i rifiuti un’opera d’arte contemporanea perché «sembrava spazzatura». Di vandalismi, piccoli e grandi, sono però piene le strade e le loro azioni nefaste si possono scorgere dappertutto, dalla semplice mancanza di educazione e di rispetto al vero e proprio atto criminale nei confronti della storia e dell’arte. E dell’umanità.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: