mercoledì 5 ottobre 2022
Un poemetto della monaca eremita calabrese prende spunto dalla moderna figura del pensatore siceliota per riflettere sull'urgenza di guide spirituali e sul desiderio d'amore che anima la fede vera
Mirella Muià

Mirella Muià - archivio

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Un desiderio di vita nascosta al cospetto di Dio; un sentimento struggente di compassione e condivisione per chi, smarrito, cerca una riferimento negli aspri e tante volte disperati tornanti dell’esistenza umana. È il classico dilemma che ogni contemplativo, amante del silenzio, si trova a dover affrontare: dare la preferenza all’uno o all’altro? Il monaco, l’asceta, l’eremita, la claustrale... Celati al mondo, per vocazione chiamati a immergersi nel fuoco dell’amore di Dio, ma spesso, proprio per questo, polo di attrazione per tante persone pronte a incamminarsi verso dove, nella notte, risplenda una qualche luce, non solo per ricerca spirituale, ma anche per semplice curiosità, per escursionismo, per il gusto del sensazionale o del misticismo prêt à porter. Questo è il multiforme tema nel quale è immerso e dal quale prende avvio Empedocle, poemetto narrativo che madre Mirella Muià ha pubblicato in Francia nel 1997 per Alidades e che ora è stato tradotto in Italia per i tipi di Lyriks (pagine 33, euro 8).

Madre Mirella oggi è eremita nell’Eremo dell’Unità a Gerace, nella Locride, ma per anni ha insegnato tedesco e italiano nei licei francesi, per 12 anni è stata ricercatrice di letteratura italiana alla Sorbona e poi lettrice di francese all’Università della Calabria. Tornata alla fede nel 1987, dopo 25 anni «di totale agnosticismo», ha da quel momento riletto alla luce delle Scritture ogni esperienza culturale precedente, riconvertendo il suo amore per la letteratura e l’indagine filosofica e si è avviata su un’intensa strada di confronto fede-cultura, con una duplice predilezione per le sue origini ebraiche e il dialogo fra le Chiese d’Oriente e d’Occidente. In questo contesto la figura del presocratico Empedocle è assunta come simbolo dell’incontro fra culture e fra lettura spirituale e filosofica della vita. Anche perché modernissima, capace di parlare agli smarrimenti del nostro tempo con le stesse modalità per cui godeva di fama alla sua epoca. Non certo, quindi, per la sua idea cosmogonica dell’eterno evolvere dei quattro elementi (terra, aria, fuoco, acqua), ma per lo stile d’accoglienza dei poveri e di critica dei potenti al punto che nel fare politica nella sua Agrigento si schierò contro l’oligarchia e la tirannide. Ma anche per le scelte ascetiche, le ricerche mistiche, il vegetarianesimo, il rispetto per gli animali e per ogni forma di vita. Tutto questo avrebbe fatto di lui un riferimento per tanti (e probabilmente lo sarebbe oggi), ma anche oggetto di ostracismi che lo costrinsero all’esilio in Peloponneso.

Il condizionale è d’obbligo per il fatto che i pochi dati storicobiografici su Empedocle ci sono giunti insieme a racconti leggendari sulla sua figura, redatti nei decenni e nei secoli seguenti, che ne fanno una sorta di profeta, di mago, di saggio taumaturgo. Basti considerare che un secolo dopo Aristotele sosteneva che fosse morto a 60 anni intorno al 430 a.C. Ma già Apollonio gli avrebbe allungato la vita a 105 anni. Tesi ribadita dallo storico Diogene Laerzio. In un contesto di questo genere non stupisce che intorno alla sua morte si siano costruiti dei miti, come quello che lo immagina amato dagli dei al punto da venire assunto in cielo. La versione anticamente più accreditata, invece, lo descrive convinto che dei quattro elementi il fuoco fosse diretta emanazione divina e che quindi si sia voluto unire a esso gettandosi nell’Etna e che il vulcano, accogliendolo, abbia voluto lasciare ai posteri un segno profetico e misterioso rispuntando sull’orlo del cratere un suo sandalo, lì dove i seguaci del filosofo lo avrebbero trovato.

Questa seconda versione della leggenda ispira il poemetto di Mirella Muià, che fa del fuoco un simbolo dell’inestinguibile amore divino per l’uomo e di Empedocle un cercatore di Dio perdutamente innamorato di quell’amore. Innamorato come lo è un’eremita che sceglie di isolarsi dal mondo per unirsi spiritualmente al fuoco della Misericordia che santa Margherita Maria Alacoque vede divampare dal cuore di Cristo, che tutto comprende e che solo soddisfa il suo desiderio di sentirsi amata e riamare. Empedocle, quindi, non si getta nel vulcano, non è un suicida in fuga dalle incomprensioni della vita, ma si avvia su una strada di silenziosa e schiva immersione nel fuoco di quell’amore: si lascia dietro le spalle la vanità del mondo per incontrare, comunque nel mondo, la pienezza di significato. Così, chi lo assume come maestro e si inerpica in pellegrinaggio sincero sui suoi stessi percorsi, scopre a sua volta amore e profondità interiore. C’è poi chi cerca per curiosità, per impegnare i social, per diporto: anche a queste persone si rivolge il fuoco divino, riflesso attraverso Empedocle-eremita, perché quell’amore è per tutti. Allo stesso modo in cui è per tutti il segno del sandalo lasciato sul bordo del vulcano, soglia dell’incontro supremo: se al cospetto di Dio anche l’essenziale è inutile, l’abbandono del vano e del superfluo diventa una necessità... o un discrimine.

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