venerdì 31 agosto 2012
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Una società dice molto di se stessa dagli idoli che sceglie. Lo dice Edgar Morin nel suo saggio Le star. La società raccontata da Xavier Giannoli in Superstar, in concorso ieri a Venezia, ha scelto un uomo qualunque che da un giorno all’altro si ritrova inseguito da giornalisti, paparazzi, fan a caccia di autografi. Se questa storia vi dice qualcosa è perché avete visto l’ultimo film di Woody Allen, To Rome with Love, in cui Roberto Benigni diveniva inspiegabilmente celebre. Ma il libro da cui Giannoli ha tratto il suo film, L’idole di Serge Joncour, risale al 2005 e i diritti sono stati acquistati quattro anni dopo. «Ho una straordinaria ammirazione per Allen – ha detto il regista – e ho girato il film alcuni mesi prima di lui, ma abbiamo in comune solo l’agente americano. D’altra parte credo che la cosa più importante sia lo sguardo con cui si decide di girare un film». In Superstar Martin Kazinski (Kad Merad, celebre per Giù al Nord bravissimo nel mescolare il registro comico con quello tragico) un uomo mite e gentile che lavora con i disabili, si ritrova misteriosamente sotto i riflettori e non sa perché. Un giorno come tanti in metropolitana si ritrova assediato da persone che lo fotografano neanche fosse una stella di Hollywood. Confuso, spaventato, stordito, l’uomo comincia a chiedersi perché sia accadendo tutto questo, ma non riesce a darsi una risposta. Nel frattempo una giornalista televisiva (Cecile De France) che ha fiutato l’insolito fenomeno lo invita in una trasmissione molto popolare per tentare di far luce su un mistero. E così il film procede avanti e indietro nel tempo, appassionante nella prima parte, meno risolto nella seconda, riflettendo sulle storture di una società che paradossale mentre trasforma in un idolo un uomo che proprio non ne vuole sapere di essere famoso.Naturalmente così com’è capace di creare falsi modelli, l’isteria collettiva può dare forma con la stessa facilità a spaventosi mostri e Martin, da uomo più acclamato dalla folla, si ritrova a essere la persona che tutti amano odiare. Ma cosa c’è dietro? Una follia globale? Un’operazione orchestrata dai media? Il regista nel film non lo spiega, ma lascia una porta aperta alla speranza. «Non sono un intellettuale – ha detto Giannoli – ho solo cercato di rispondere a delle domande che la realtà mi pone. Ho voluto rappresentare il caos della modernità raccontando la storia di un uomo che si rifiuta di diventare celebre mettendo in evidenza la degenerazioni di certi valori come la dignità personale». E a proposito del ruolo dei media il regista, figlio di un giornalista, aggiunge: «La stampa segue sempre più le leggi del mercato, il mestiere si è mercantilizzato come spiega Balzac in Illusioni perdute». Applaudito in competizione anche Izmena («Tradimento») del russo Kirill Serebrennikov che sulla scia dei silenzi e le solitudini raccontate da Ingmar Bergman racconta di due sconosciuti alle prese con l’infedeltà dei rispettivi coniugi, un omicidio, il tempo che passa, una nuova morte. Raffinato, simbolico, elegante, il film si affida all’ottima interpretazione dell’attrice protagonista che nei panni di una donna devastata dalla mancanza d’amore, incarna l’essenza stessa della tragedia. Infine nella sezione Orizzonti dieci minuti di applausi in Sala Grande hanno accolto Gli equilibristi di Ivano De Matteo.
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