venerdì 23 aprile 2010
Otto anni dopo «Parabole mediatiche» si consolida una presenza. Il segretario generale della Cei: le comunicazioni sociali sono lo sfondo dell’intera pastorale. Il convegno della Chiesa italiana lancia la sfida dell’annuncio sui nuovi media: «Noi ci siamo». In serata l'intervento del cardinale Bagnasco:  le relazioni on-line non rimangano prigioniere della superficialità, difendere i valori anche sul web.
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Di là c’è chi sgomita, invade e occupa. C’è chi non dà grande importanza alle cose da dire perché l’importante, per lui, è dire e basta, ossia fare rumore ed esibirsi. Di qua c’è anche chi intende partecipare, offrendo testimonianze, idee, contributi. Progetti. Intessendo relazioni. Questi sono i cattolici «Web 2.0», rappresentati dai 1.300 che ieri affollavano le sale del Summit Hotel per la giornata inaugurale di «testimoni digitali». A guardarli in faccia e a sentirli parlare, è evidente quanta acqua sia passata sotto i ponti virtuali in questi otto anni, da «Parabole mediatiche» in poi. Allora fu una scoperta, oggi è una conferma: esiste, perché pensa e agisce, un vero e proprio movimento di operatori dei mass media, di animatori della comunicazione e della cultura, con tante diverse specializzazioni – carta stampata, emittenti radio e tv, comunicazioni sociali, webmaster… – ma tutti mossi dalla stessa passione, dalla stessa convinzione. Quella che aprendo i lavori monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, poneva come punto fermo di non ritorno: le comunicazioni sociali non sono né un segmento né un settore della pastorale, ma ne costituiscono lo sfondo.È un popolo mite fatto da gente che proviene dalle cento periferie d’Italia, non un consesso di addetti ai lavori. È un movimento dalle radici profonde nelle città, nei paesi, nei quartieri. Nelle parrocchie. Che chiede semplicemente di poter partecipare ed esprimersi. «Né demonizzare il Web, né tentare di occuparlo», ammonisce Crociata, ricordando quello che dovrebbe essere scontato: la Chiesa intende offrire un contributo di idee e partecipare al libero dibattito per la formazione di un’opinione pubblica che non sia pensiero unico, uniforme, omologato. Il segretario generale Cei invita il movimento dei «testimoni digitali» ad offrire uno «sguardo assolutamente originale». Esorta le diocesi «timide» a «scongelare gli animatori della comunicazione e della cultura», profilo pastorale per il quale «si è investito ancora troppo poco». Sono parole forti che dovrebbero costituire una sorta di spartiacque. Crociata non nasconde però i ritardi: linguaggi ancora autoreferenziali, quasi di nicchia; e la difficoltà a integrare le comunicazioni sociali nei piani pastorali diocesani.Il clima generale è di intelligente fiducia. È il desiderio di accettare le sfide senza ingenuità. È il desiderio di capire senza fermarsi ai luoghi comuni e alla superficie. Francesco Casetti chiede: è vero dialogo quello del Web? E la relazione può essere limitata al semplice contatto, a chi sembra pensare: «Non dirmi che cosa dici, ma dimmi che parli con me?». E alla fine propone, per ogni comunicazione, la necessità di un supplemento di carità, per passare da spettatori a testimoni, da recettori a interlocutori, riscoprendo il senso e il valore di intimità, fedeltà e qualità.La tecnologia si umanizza, negli interventi di Sorice, Eugeni, Calabresi e Peverini. Anche Sorice mette in guardia da una «connessione senza relazione» e riprende l’invito di Crociata: «Non invasione ma partecipazione». La parola «relazione» torna più e più volte, come antitesi ai troppi soliloqui esibizionistici del Web, scambiati per comunicazione. Relazione e comunità, anche se prive di un «luogo» e fatte, appunto di relazioni. Lo stesso Sorice e soprattutto Calabresi sottolineano la centralità delle mediazioni e dei mediatori, perfino dei giornalisti, tutt’altro che in via di estinzione, purché evitino di inseguire la velocità della rete erigendola a idolo, scivolando sciaguratamente nel sensazionalismo. Calabresi – un direttore di quotidiano – non nasconde i pericoli dell’informazione sul Web: «Superficialità, impossibilità di un reale controllo, inevitabili falsità, un ancor più insidioso "verosimile" che vero non è ma ci assomiglia». Il futuro è dei giornalisti capaci di essere originali e unici, fornendo ciò che altri non possono fornire: «Chiavi di lettura, comprensione, punti fermi, contesti». E a chi ancora fosse colpito dalla sindrome da estinzione prossima fatale, ricorda: «Il 95 per cento dell’informazione in rete proviene dalla carta stampata. Non siamo morti. La professionalità e le competenze sono ancora necessarie. E dedicare energie e anni di passione all’attività giornalistica ha ancora un senso».Al termine della prima giornata rimane una sorta di «refrain» di fondo. Un motivo conduttore che potrebbe essere sintetizzato in un dei più felici – e citati – passaggi della Caritas in veritate, pure ieri mai ricordata esplicitamente, là dove Benedetto XVI ricorda che la globalizzazione - ma potremmo paragrafare: il Web, come strumento globale - ci ha resi più vicini, ma non ancora fratelli. l «testimoni digitali», con gli accenti di ieri sulle relazioni, sulla partecipazione, sull’attenzione al lato umano, personale, dolce della comunicazione, possono darsi l’obiettivo ambizioso di contribuire a creare fratellanza tra chi già è vicino.
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