sabato 7 maggio 2016
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Imodelli storicamente rilevati della relazione tra scienza e fede sono quattro: 1. il conflitto (lo scontro aperto come nel 'caso Galilei'); 2. l’indipendenza (la conoscenza scientifica e la credenza religiosa hanno poco o nulla da dirsi, sono dei «magisteri non sovrapponibili»); 3. l’integrazione o concordismo (assimilazione indebita di verità scientifiche e verità religiose); 4. il dialogo ovvero il confronto costruttivo. Nello scenario attuale di rapido progresso della scienza e di maggiore sensibilità dell’opinione pubblica, sussistono tutti i presupposti per lasciarsi alle spalle i conflitti, le diffidenti separazioni e gli inutili tentativi concordistici, rilanciando invece un confronto autentico tra teologi, filosofi e scienziati. Un dialogo di questo tipo non può non coinvolgere tutti gli uomini di cultura, credenti e non credenti, perché è proprio la dialettica tra la diversità dei punti di vista che consente di realizzare un positivo sviluppo tanto nell’ambito dei rapporti umani quanto nel contesto della conoscenza. Tutto deve dunque realizzarsi in spirito di verità e sincerità reciproca, senza posizioni preconcette ormai anacronistiche. Come ha detto il cardinale Gianfranco Ravasi aprendo i lavori del convegno della Gregoriana in occasione dei 150 anni dalla pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin (3 marzo 2009), i teologi e gli scienziati devono «guardarsi a viso aperto, ascoltarsi, avere un confronto sereno anche a livello oggettivo». Su questo terreno e con questi intenti programmatici sembra procedere il libro di Francesco Brancaccio intitolato Ai margini dell’Universo e al centro del creato. L’uomo e la natura nel dialogo tra scienza e fede cristiana (San Paolo), che cerca di far comprendere come da un lato occorra non cadere nell’errore di disconoscere le verità scientifiche e dall’altro mostrare come sia possibile conciliarle tramite una corretta ermeneutica teologica. Questo intento è chiaro fin dal titolo, nel quale da un lato si prende atto della scoperta postcopernicana che l’essere umano vive in un piccolo pianeta di un sistema solare posto ai margini di una galassia (la “Via Lattea”) delle cento miliardi di galassie che popolano il cosmo, dall’altro si conferma la riflessione teologica fondata sulle Scritture secondo cui l’uomo è posto al centro del creato, in primo luogo in virtù dell’azione salvifica di Cristo. Nel trattare del dialogo possibile tra scienza e fede cristiana, l’autore procede da due riferimenti teologici fondamentali: sant’Agostino e san Tommaso. Già i due maggiori teologi della tradizione cattolica avevano infatti ben presente la distinzione di campo e il diverso statuto epistemologico tra conoscenza scientifica e teologia, dal momento che l’una tratta degli oggetti del mondo naturale e l’altra della “Sacra Dottrina”; quindi, per dirla con Agostino d’Ippona, il Signore con la Rivelazione christianos facere volebat non mathematicos (Contra Felicem Manichaeum), voleva donarci il Verbo della Salvezza e non formare degli scienziati. Allo stesso modo, Tommaso d’Aquino tanto in alcuni commenti ad Aristotele quanto nella Summa Theologiae distingue con attenzione l’azione creatrice e provvidente di Dio dallo studio dei fenomeni naturali, i quali seguono il loro corso prestabilito proprio con la creazione. Sulla base di questi postulati fondamentali, Branca fornisce il quadro aggiornato dell’attuali conoscenze scientifiche in campo biologico, cosmologico e delle neuroscienze, dimostrando come sia possibile rendere compatibile il sapere scientifico contemporaneo con le verità di fede che riguardano l’anima individuale, il problema della morte, la questione del male e il disegno finalistico del creatore. Tutte questioni su cui è più che mai opportuno e necessario applicare il modello del dialogo nel rapporto scienza e fede. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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