mercoledì 8 novembre 2023
Fra le righe del suo “Abecedario fotografico” anche il ricordo della svolta “visiva” di Giovanni Paolo II: «Nel corpus di immagini che lo rappresentano c'è il significato del suo pontificato»
Messa di Natale, Roma, 1983

Messa di Natale, Roma, 1983 - © Ferdinando Scianna - Magnum Photos

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«Non credo possano sussistere dubbi sul fatto che anche sul terreno della fotografia Giovanni Paolo II sia stato, durante tutto il lungo periodo del suo pontificato, il personaggio più grandiosamente presente, protagonista assoluto della scena mondiale. Gli altri protagonisti che in questi anni hanno riempito con le loro facce e gesti pagine di giornali o schermi televisivi sono tutti morti o scomparsi, insieme al loro potere e spesso insieme alle loro idee, o sono diventati poco rilevanti comparse nella scena della storia. Quel Papa, di quella scena della storia è invece rimasto al centro, costante e indiscusso protagonista. Santificato, persino». Ferdinando Scianna, in occasione dei suoi ottant’anni di vita e sessanta di fotografia, si regala un personalissimo Abecedario fotografico (Contrasto, pagine 166, euro 16,90), ma senza foto. Solo parole, lemmi di una vita dedicata alla fotografia. Parole ragionate, in libertà. Regalando a noi non poche sorprese. Come questa. Alla lettera P, la voce “Papi e fotografia”. Papi e Ferdinando Scianna, potremmo aggiungere. Ed ecco un inedito che fa tornare in qualche modo alle origini: il primo Scianna che debuttava nel 1965 con Feste religiose in Sicilia, con il testo di Leonardo Sciascia, e il clamore che quel libro suscitò a proposito di fede e devozione popolare. Oggi il fotografo di Bagheria, senza perdere il suo spirito ironico e rispettosamente “dissacrante”, tra le righe, scrive di Chiesa e fotografia. Di Papi. Con un cameo sull’unico che ha visto e raccontato, in maniera molto privata e personale, se non intima: Karol Wojtyla. «Mi è capitato di fotografare soltanto in quattro occasioni Giovanni Paolo II - scrive Scianna nel suo Abecedario fotografico che presenterà stasera a Milano, alla libreria Rizzoli della Galleria Vittorio Emanuele II, alle ore 18, in dialogo con Stefano Bartezzaghi) -. Sempre sono rimasto impressionato dalla fortissima presenza visiva dell’uomo, del suo corpo, propriamente. Un corpo presente, che occupava spazio, che rivendicava il suo spazio. Basta pensare alle fotografie nelle quali lo abbiamo visto fuori dal suo ruolo pontificale. Mentre si inerpica sulla Maiella, con gli sci ai piedi, persino, in una controversa immagine, che fece scandalo, mentre fa una nuotata».

Parigi, 1980

Parigi, 1980 - © Ferdinando Scianna - Magnum Photos

Di ritorno da Parigi, nel 1983, dopo l’esperienza de L’Europeo, cominciando l’avventura di Magnum, «una rivista giapponese mi chiese di seguire la Messa di Natale del Papa a San Pietro – aggiunge a voce Scianna –. Mi colpì il modo in cui raggiunse il presepe. E lì l’ho fotografato, davvero come un pastore. L’avevo visto a Parigi pochi anni prima, in un incontro oceanico e mi ero soffermato molto sulla gente e i volti dell’attesa. Ma ricordo anche il viaggio a Firenze, nel 1986, e a Palermo, nel 1982, ai Cantieri Navali, nella mia Sicilia, dove questi momenti diventano anche espressione di devozione popolare e delle tradizioni».

Così, fra la A di Ambiguità e Amori e la D di Dubbi, la E di Emozioni e la S di Scelte, ecco la P di Papi, Papi e fotografia, partendo da una domanda: «Come mai la Chiesa ha così poco utilizzato la fotografia?». «Non ci sono vie crucis fotografiche, per dire, o fotografie destinate a evocare fatti e miti che costituiscono l’iconografia del cattolicesimo – annota il primo fotografo italiano a entrare alla corte di Magnum –. Le stesse immagini dei nuovi santi, che pur con fotografie sono stati ritratti, sono sempre trasposizioni pittoriche, di gusto oleografico, che le fanno assomigliare ai tradizionali santini con aureola».

La svolta avviene appunto con papa Wojtyla. «Giovanni Paolo II è stato Papa per venticinque anni. Un quarto di secolo in cui la storia ha avuto un andamento convulso e accelerato, marcato da grandi trasformazioni e da grandi declini e durante i quali, prima, forse, di vivere a sua volta il proprio declino, la fotografia ha affermato la sua centralità, come sottolineava Hobsbawm nel suo Il secolo breve, in quanto linguaggio principe della modernità, strumento per delineare nella nostra immaginazione il volto della realtà». È come se si fosse creata una congiuntura fra la storia del linguaggio fotografico e della comunicazione e la figura di Wojtyla. «La sua spettacolare presenza ha profonde ragioni anche nella speciale personalità dell’uomo Wojtyla. Direi, parlando da fotografo, che ha radici fortissime anche nella stessa struttura fisica dell’uomo, nella sua prestanza, in generale nella consapevolezza esatta che questo Papa, non per nulla ex attore, ha avuto del proprio corpo, della potenzialità linguistica di comunicazione che ha il corpo. Il papa aveva un corpo e non lo nascondeva. Ve lo immaginate Pio XII con gli sci ai piedi, o anche il metafisico Paolo VI? Già con Giovanni XXIII l’inaccessibilità fisica e visiva del papa era stata un poco abbandonata. Altri tempi, certo, altri caratteri. Ma anche una diversa maniera di concepire il significato e l’esercizio di essere Papa che conosce e usa il grande ruolo che in questa funzione ha l’immagine».

Palermo, 1982

Palermo, 1982 - © Ferdinando Scianna - Magnum Photos

Giovanni Paolo II è stato di fatto il primo Papa viaggiatore. E «con le penne indiane in testa o con le collane di fiori al collo, sul trono, con gli sci o in sofferenza di malato, grazie al suo corpo, grazie alla sua energia, è rimasto il Papa, ha moltiplicato l’iconografia della propria sovranità. Il gigantesco corpus fotografico che ha prodotto non è soltanto documento del pontificato di Giovanni Paolo II: ne rappresenta il significato. I Papi che hanno seguito, oggi Bergoglio, non hanno più potuto prescindere dalle immagini e dall’usarle attraverso gli strumenti della modernità».

Se chiediamo a Scianna quanto, nonostante il suo pensiero laico, la figura di Wojtyla lo abbia segnato, il fotografo tira fuori la parola «speranza»: «Di fronte alle domande esistenziali, ha dato speranza. A tutti, credenti e non».


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