sabato 29 ottobre 2016
Le macchine sono ormai più efficienti dei giocatori umani. E presto le combinazioni saranno tutte risolte
Scacchi, sognando la partita perfetta
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Nel 1960 un fisico ungherese di nome Arpad Emrick Elo sviluppò per la federazione scacchistica statunitense il metodo per calcolare le classifiche dei giocatori di scacchi. Dal 1970 in poi anche la Federazione Internazionale degli Scacchi adottò il sistema Elo, ottenuto su un rendimento calcolato tramite la combinazione di vittorie, sconfitte e patte, sulla base di un conteggio relativo ai punti dell’avversario. La prima classifica stilata vide in testa il leggendario Bobby Fischer con 2720 punti Elo. Oggi, in cima al rating, c’è il norvegese Magnus Carlsen con 2857 punti. Un netto miglioramento.

Parallelamente alla storia umana degli scacchi, ve n’è una alternativa, sviluppata negli ultimi vent’anni grazie agli enormi passi avanti fatti dall’intelligenza artificiale.

La storia della macchina ebbe ufficialmente inizio nel 1769, con una scatola piena di ingranaggi ideata dal Barone Wolfgang Von Kempelen sulla quale furono sistemati una scacchiera e un manichino col turbante, conosciuto come Il Turco. In realtà si trattava di un imbroglio, poiché nella scatola vi era un giocatore di scacchi, che con un sistema innovativo riusciva a gestire e comandare il manichino come una marionetta. La vera e propria realizzazione dell’informatica scacchistica si concretizzò nel 1840 grazie all’opera del matematico Charles Babbage, che progettò il motore analitico, antesignano del moderno computer. Nel corso degli anni le ricerche furono ulteriormente approfondite grazie all’avanzare della tecnologia, con una conseguente progressione delle possibilità di calcolo.

«Nel 1985 – ha rimarcato il filosofo Andrea Vaccaro nell’articolo Scacchi, la partita infinita tra uomo e computer, apparso recentemente su “Vita e Pensiero” – ad Amburgo, Garry Kasparov, storico campione del mondo, in un’esibizione simultanea affronta i migliori 32 programmi per computer, compresi gli otto che portavano il suo nome, e li batte tutti contemporaneamente». Nel 1997, invece, il celebre scacchistica russo affronta Deep Blue, computer della Ibm: «Davanti alle telecamere Kasparov sentenzia: difenderò la razza umana, ma lo dice scherzando». Al campione va la prima partita, alla macchina la seconda, e dopo tre patte, i duecento milioni di calcoli al secondo hanno il sopravvento. Oggi, in testa al rating dei software scacchistici, c’è Komodo 10 con 3377 punti Elo.

È evidente, quindi, alla luce di questi numeri, che la partita tra uomo e computer si giochi su un asse sbilanciato a favore della macchina, seppur sia necessario non dimenticare l’apporto che la tecnologia ha oggi per la nostra cultura, contribuendo al progredire delle capacità dell’uomo, come conferma lo stesso Vaccaro nel suo testo: «Kasparov sottolinea che la tecnologia è capace non solo di rendere il mondo più bello, ma anche più intelligente. Il punteggio Elo non è stato mai tanto alto per gli esseri umani (…) ed è dubbio che avrebbe potuto raggiungere tale altezza senza l’allenamento col computer».

Se da una parte si ricavano vantaggi dalla tecnologia, però, restano da affrontare due questioni urgenti: una etica e l’altra romantica, ma il maestro italiano Michele Godena, rassicura perlomeno sulla possibilità che nell’arco di venti o trent’anni gli scacchi possano essere risolti nella partita perfetta, proprio come è accaduto per il gioco della dama: «La tecnologia scacchistica è una rivoluzione, io sono nato e cresciuto sui libri e rimpiango quei tempi. Amo l’aspetto umano del gioco, anche perché giocare contro un computer dà una sensazione di freddezza, ma devo ammettere che l’analisi online è uno strumento utile, seppure i software tendano a demolire i dogmi, privilegiando un aspetto della gara più pratico».

Ugualmente romantico lo scrittore Paolo Maurensig, autore, tra gli altri, di La variante di Lüneburg, noto romanzo il cui lo spago narrativo è scandito da una partita a scacchi: «Sono fiducioso che il gioco degli scacchi resterà legato alla nostra mente. Quello che ci avvantaggia come esseri umani, rendendo il gioco sempre epico e vivace, è la questione del tempo. Esistono programmi che sono più umani di altri, che hanno al loro interno un’idea di strategia, altri invece fanno mosse per me incomprensibili, ma giocando con attenzione contro un computer si può mantenere la parità fino alla fine e disputare partite avvincenti».

Certamente, se la parità durante le aperture e nel centro partita è possibile, non lo è nei finali di gioco, dove le variabili di calcolo smettono le vesti posizionali per indossare quelle matematiche. Allo stesso modo non è possibile, come vorrebbe la credenza, mandare in confusione un computer con mosse inusuali, perché la posizione strana, quindi sbagliata, favorisce la macchina, il cui calcolo si azzera e ricomincia a ogni mossa.

Paolo Ciancarini, professore di informatica all’Università di Bologna, nonché uno dei maggiori esperti italiani di programmi scacchistici, conferma la tesi: «Le macchine non hanno idea che la difesa francese sia una partita cauta e che la difesa siciliana sia garibaldina. Il computer ha funzioni matematiche e può essere sfruttato per queste. I programmi giocano sempre allo stesso modo, quello che fa la differenza è la gestione dei differenti motori. Il software è un’estensione di noi, del nostro pensiero scritto in codici informatici e per raggiungere il top i programmatori si avvalgono di maestri, il problema sorgerà se e quando il codice sarà scritto non più da uomini ma da altri programmi».

Anche Giancarlo Delli Colli, uno dei primi italiani a creare un programma per gli scacchi, Equinox, con cui ha partecipato al mondiale per software e alle Olimpiadi di Scacchi a Torino nel 2006, definisce i programmi scacchistici come una «stimolazione intellettuale. Ciò che conta in fase di progettazione – spiega – è la combinazione di un team di programmatori con un paio di maestri. Credo che avere un software a disposizione per lo studio aiuti a crescere come scacchisti». Sulla possibilità che gli scacchi possano essere risolti, Delli Colli è cauto ma netto: «Il numero di combinazioni di una partita di scacchi è maggiore degli atomi dell’universo, quindi c’è ancora tempo, ma probabilmente con l’utilizzo di un computer di rete gli scacchi arriveranno a essere risolti; in ogni caso c’è ancora tanto da fare».

Scienza, cinema e letteratura hanno contribuito in qualche modo alla costruzione di questa fantasia, per cui la traiettoria di calcolo della distanza che divide gli scacchi dalla loro risoluzione è quantificabile in una grande clessidra ripiena di quei chicchi di frumento che l’inventore degli scacchi, secondo la leggenda, chiese come ricompensa per aver ideato il nobile gioco. Uno per la prima casella, due per la seconda, quattro sulla terza, otto alla quarta e avanti così fino all’ultimo riquadro. La morale è che c’è ancora tempo.

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