sabato 9 dicembre 2023
La professoressa Silvia Lusuardi Siena ha dedicato gli ultimi 30 anni a rimettere insieme il puzzle dell’antica basilica paleocristiana di Santa Tecla:«Una difficile storia di scoperte e distruzioni»
Il tracciato della basilica di Santa Tecla nell'area di piazza Duomo a Milano

Il tracciato della basilica di Santa Tecla nell'area di piazza Duomo a Milano - Lusuardi Siena

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Cosa c’era in piazza Duomo a Milano prima del Duomo? Prima cioè dell’immensa mole bianca della cattedrale viscontea e prima degli edifici cinquecenteschi cancellati dalle demolizioni del XIX secolo per creare il grande spazio che conosciamo oggi? Non c’era una cattedrale, bensì due edifici paleocristiani (il sistema binario, per quanto ancora piuttosto misterioso nelle funzioni, era diffuso in età tardoantica): la basilica di Santa Tecla, in corrispondenza della piazza, e quella di Santa Maria Maggiore, dove ora c’è il Duomo. Tra le due, il battistero di San Giovanni alle Fonti, edificato da Ambrogio. Parte dei resti sono visibili in un’area archeologica accessibile dal Duomo e quindi nel mezzanino della stazione della metropolitana. «Nonostante l’importanza, quest’area è stata molto sfortunata dal punto di vista archeologico perché dall’Ottocento fino agli anni 60 del secolo scorso la scoperta andava di pari passo con la distruzione», spiega Silvia Lusuardi Siena, l’archeologa che ha dedicato gli ultimi tre decenni a studiare il complesso episcopale milanese. Queste ricerche confluiscono ora in Milano. Piazza Duomo prima del Duomo. La cattedrale di Santa Tecla perduta e ritrovata (Silvana Editoriale), volume con oltre 1000 immagini, contributi di circa 50 autori, materiali d’archivio, giornali di scavo, cataloghi di monete...

«Il grande sforzo durato anni, per non dire decenni, testardo e cocciuto, è stato di voler rivedere complessivamente tutto quello che fin a oggi era disponibile e interpretarlo, anche con piccole verifiche stratigrafiche nell’area archeologica sotto il Duomo, e mettere insieme le tessere di un colossale mosaico e poter così ricostruire la storia di Santa Tecla e cercare di capire se sia davvero di fondazione ambrosiana, come vuole la tradizione», spiega Lusardi, già ordinario di Archeologia medievale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (1994-2016). Con l’ateneo la professoressa ha coordinato una lunga ricerca che ha analizzato le trasformazioni avvenute nell’area di Piazza Duomo tra II-I secolo a.C. e XVI secolo. «In particolare è un lavoro per il futuro, destinato a essere discusso e rielaborato. In contesti di questo tipo, che interessano secoli, la situazione interpretativa è complessa e potrà essere risolta solo con uno sguardo comparativo con aree di cattedrali studiate, integrando quello che dal punto di vista oggettivo non c’è con una linea di tendenza».



Si è trattato di leggere con gli occhi nuovi materiale raccolto nel tempo senza l’attenzione metodologica propria dell’archeologia contemporanea. Un primo importante nucleo è costituito dalla campagna fotografica e del diario che Alberto de’ Capitani d’Arzago realizzò nel 1943 quando si trovò a realizzare un bunker antiaereo in piazza Duomo: «Parte delle immagini furono pubblicate postume nel 1952 con alcuni fraintendimenti e senza ricerca complessiva. Abbiamo dedotto le stratificazioni da tutte le lastre fotografiche, anche quelle inedite». Quindi le indagini curate dal soprintendente Mario Mirabella Roberti negli anni 60 in occasione degli scavi della M1 («Un tipo di cantiere che oggi non si farebbe più, in assenza di controllo preventivo e senza attenzione al dato stratigrafico, che allora non si poteva immaginare») di cui è stata esaminata tutta la documentazione pervenuta, composta da diari di scavo e rapide descrizioni, schizzi ma anche preziosi rilievi di strutture murarie. «Ma abbiamo ampliato la ricerca su materiale mai preso in considerazione prima: ceramiche, vetri, metalli… Le monete sono state una vera sorpresa. Sono oltre 400 e raccontano la frequentazione della piazza dal II secolo a.C. fino alla realizzazione del progetto di Mengoni della piazza a metà ‘800». Infine sono stati presentati con il massimo rigore scientifico anche i risultati delle recenti indagini stratigrafiche (2010-2011) e le analisi effettuate sulle murature del battistero.

Il resti del battistero di San Giovanni alle Fonti durante gli scavi per la metropolitana, negli anni 60

Il resti del battistero di San Giovanni alle Fonti durante gli scavi per la metropolitana, negli anni 60 - WikiCommons

«Lo scopo è stato reinserire nel tessuto urbano attuale un polo religioso e artistico, sociale ed economico, centrale per la vita di Milano» spiega Lusardi. «Per la storia di una città la piazza del Duomo ha vicende millenarie. La cattedrale non nasce in un posto qualsiasi ma ne diventa il cuore pulsante. Solitamente ha una storia che parte in epoca romana, spesso all’interno di case private, e si sviluppa nel corso del tempo con cantieri monumentali».

Per Milano restano ancora molti punti aperti: «Cos’era ad esempio il grande edificio pubblico trovato solo in parte e sul quale è stata impostata la chiesa del IV-V secolo? Una prima chiesa o un edificio pagano?». Ma anche sulla stessa basilica la questione non è lineare: «A tutti gli effetti non siamo in grado di dire con certezza se questa, che tutto il Medioevo nomina come Santa Tecla, sia la Basilica Maior di cui parla Ambrogio in una lettera a Marcellina del 386, o se quest’ultima insieme alla Vetus sia da immaginare in altra zona sotto il Duomo attuale. È un dilemma centrale da cui non si riesce a uscire con sicurezza, perché le monete trovate in un pozzo nell’area della chiesa offrono un arco cronologico tra fine IV e V secolo, in una situazione che Mirabella Roberti, che scavò l’area, dice essere anteriore al pavimento paleocristiano della chiesa. Se queste osservazioni sono attendibili, e non abbiamo documentazione fotografica e stratigrafica, vuol dire che la basilica non può essere stata terminata alla fine del IV secolo. È un problema filologico. Per risolvere, ipotesi utopica, sarebbe necessario scavare in zone intonse sotto il pavimento del Duomo».

Altri pozzi sono ammantati dal mistero. «C’è ad esempio quello di epoca romana sito nell’area occidentale del presbiterio, scavato e svuotato e documentato negli schizzi dei giornali di scavo, che ha restituito numerosi reperti tra cui materiali del XV secolo. Più volte rialzato, aveva evidentemente una funzione rituale la cui memoria è andata perduta. Questa presenza di pozzi nel presbiterio di chiese cattedrali non ha confronti altrove».

Altri rituali sono testimoniati in relazione all’acqua, questa volta nel battistero di San Giovanni: «Qui, in una canaletta perimetrale del fonte battesimale, sono state trovate oltre 200 monete. Questo deposito, trovato negli anni ‘60 e restaurato e identificato solo ora, attesta certamente il rito di gettare la moneta, forse in un opercolo della canaletta, come una sorta di offerta alle acque. Un rito di origine precristiana che dura, a giudicare dalle monete, almeno fino agli inizi del VII secolo, in età longobarda. È un fenomeno raro, attestato in pochissimi casi in ambito mediterraneo, tra cui ad esempio a Malta».

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