domenica 8 novembre 2009
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Dove c’è petrolio, si sa, un tempo c’erano foreste: gli idrocarburi si generano sotto terra dalla trasformazione di materia vegetale. Ma, se c’erano foreste, doveva per forza esserci anche acqua: dov’è finita quella dell’attuale Sahara, allora? Molta è semplicemente evaporata, a causa di uno dei tanti mutamenti climatici cui la Terra è abituata; un riscaldamento globale, quello di trentamila anni fa, che ha posto fine all’ultima era glaciale. Per questo il Sahara è solcato da valli, grotte e canyon oggi desolatamente secchi, ma che un tempo un qualche fiume deve pur aver scavato. Ma non tutta l’acqua è sparita così: molta, moltissima è ancora lì, imprigionata – come il petrolio – nel sottosuolo. È la cosiddetta acqua fossile, raccolta in falde acquifere sotterranee che, a differenza di quelle presenti in tutto il mondo e abitualmente sfruttate con i comuni pozzi, sono da millenni sigillate ermeticamente, senza scambi con l’esterno. Acqua vecchia, ma buona: tanto buona che l’idea di sfruttarla per alleviare l’atavica sete del Continente nero non poteva non trovare seguito. A darglielo, il dittatore libico Gheddafi, che nel 1984 diede il via ai lavori per il Grande fiume artificiale. Due i problemi da affrontare: la profondità del bacino, fino a mezzo chilometro, e soprattutto la distanza da ogni centro abitato. Entrambi sono stati risolti applicando, in parte, l’esperienza accumulata proprio con l’estrazione petrolifera: trivellazioni prima, acquedotti assai simili a oleodotti poi. Il risultato è un’opera faraonica – «L’ottava meraviglia del mondo», proclama con modestia il colonnello – ma a prima vista efficace, tanto da essere additata a modello sia dall’Unesco – che, dopo averla sostenuta fin dal 1990, quest’anno vi ha intitolato un suo premio per le Risorse – sia dall’Aiea, l’Agenzia per l’energia atomica – che nello sfruttamento delle acque fossili vede una valida alternativa energetica. Il Grande fiume – o meglio, per dirla al di fuori degli slogan di regime, la grande rete di acquedotti – porta verso le assetate coste libiche sei milioni e mezzo di metri cubi d’acqua dolce al giorno, grazie alla quale stanno nascendo numerosi insediamenti agricoli nell’entroterra. Naturalmente non sono mancate le critiche a Gheddafi per l’iniziativa, che è costata decine di miliardi di euro e oltre vent’anni di lavori – ufficialmente conclusi nel 2007, ma in realtà ancora in corso per portare a pieno regime l’impresa. Soldi sborsati dal governo libico, che così ha, senza dubbio con lungimiranza, investito i ricchi proventi petroliferi in progetti a lungo termine; ma più voci hanno obiettato che con spesa minore ed efficienza maggiore si sarebbe potuto dotare la Libia di grandi impianti di desalinizzazione, altrettanto se non più capaci di soddisfare il fabbisogno. Tale prospettiva aveva però due grossi difetti, agli occhi di Gheddafi: richiedere, per la manutenzione degli impianti, una continua dipendenza da tecnologie e manodopera straniera, e non avere l’innegabile fascino del progetto del Grande fiume. Qualche voce di contestazione, in realtà assai flebile, è stata sollevata anche dai vicini e co-proprietari del Sistema acquifero di arenaria nubiano (così si chiama l’immensa falda fossile), Egitto, Sudan e Ciad: ma senza che frapponessero veti veri e propri.Lo stesso Egitto, d’altra parte, sta lavorando a un progetto altrettanto faraonico – aggettivo in questo caso giustificato da evidenti memorie storiche – e di impatto ancor maggiore: lo "sdoppiamento" del Nilo e, soprattutto, del suo fertilissimo delta. Nasser legò il suo nome alla diga di Assuan; Mubarak, suo erede, ha dato il via a lavori ancor più immani. Si tratta di derivare un enorme canale dal Nilo, anzi proprio dal bacino artificiale di Assuan, per portare la sua preziosa acqua fino alla depressione di Qattara. I lavori per questo secondo "Grande fiume" – anch’esso in realtà piuttosto un acquedotto, per contrastare l’evaporazione – sono iniziati nel 1997 e dovranno approdare alla depressione che scende fino a 133 metri sotto il livello del mare. Qattara, inondata da venticinque milioni di metri cubi d’acqua al giorno, diventerà così un vasto bacino lacustre, intorno al quale potranno sorgere nuovi insediamenti urbani e nuove aree agricole. La prima stazione di pompaggio ad Assuan e il primo tratto del canale sono stati già inaugurati da Mubarak, ma siamo ad appena 340 chilometri dalla diga: mancano ancora, prima di arrivare a Qattara, oltre mille chilometri di deserto. Il futuro "Lago di Qattara" sorgerà nei pressi di el-Alamein, a metà strada tra il confine con la Libia e il Delta del Nilo, e si estenderà per oltre diecimila chilometri quadrati (il nostro lago più grande, il Garda, non arriva a quattrocento). I lavori in corso, tuttavia, sono accompagnati da dubbi ancor maggiori di quelli che hanno circondato l’impresa portata a termine da Gheddafi. I costi, naturalmente. Sono anche qui faraonici, ma per di più gravano su un Paese, l’Egitto, in una condizione ben peggiore della Libia: ha molto meno petrolio, ospita una popolazione dieci volte maggiore e soprattutto molto più povera, è afflitto da problemi sanitari e sociali di estrema gravità, che imporrebbero ben diverse priorità agli investimenti statali. Poi, l’impatto ambientale del "Secondo Nilo" sarebbe immane, e difficilmente calcolabile. Ma in fondo non si tratta appunto che di deserto: spazio "vuoto" per l’uomo, da sempre, e per il quale non valgono remore attive altrove. Tra i tanti progetti, più o meno ipotetici, che puntano al Sahara, c’è sempre quello europeo di tappezzarlo di pannelli solari, per provvedere al fabbisogno energetico del Vecchio continente: e lo si spaccia pure per un progetto "ecologico"...
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