martedì 29 giugno 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
«Seneca è il filosofo antico più venduto dopo Platone. Perché parla all’uomo d’oggi come all’umanità di sempre. Le Lettere al figlio sono il suo bestseller». Sarà un caso ma la traccia sulla «ricerca della felicità» ha dilagato nelle scelte degli aspiranti maturandi al recente esame di Stato. Dunque, la società di oggi è alla ricerca spasmodica di un disincanto ripiegato sul sé? E dunque non siamo più interessati a costruire un futuro comune perché dediti unicamente alla cura di sé? Giovanni Reale, docente di filosofia all’Università Vita e Salute del San Raffaele, esordisce così su uno dei filosofi citati dal saggista transalpino: «Seneca ha scritto cose vere e il suo pensiero è attuale ancorchè notevole. Guillebaud propone delle osservazioni giuste ma, a mio giudizio, sbaglia bersaglio». Perché? «Se è vero che Seneca e gli altri filosofi (stoici e neostoici) da lui citati si contrappongono alla Bibbia e alla sua visione della storia, Guillebaud sbaglia nel ritenere che con l’interesse del pubblico verso questi pensatori stia tornando l’amor fati», cioè una sorta di nuovo fatalismo. «Il loro messaggio è straordinario. Oggi ci troviamo davanti al vuoto della stessa filosofia, dedita soprattutto a questioni linguistiche. Addirittura Habermas sostiene che la filosofia non può intervenire sull’etica. Ma al pubblico non interessa nulla della filosofia analitici bensì vuole contenuti. E per questo si rivolge agli autori citati da Guillebaud. Gli psicoanalisti scoppiano per la presenza di pazienti giovani, invischiati nel caos della famiglia e nel degrado della società. Seneca insegna molte cose ai giovani d’oggi, ad esempio a non restare feriti da quanto succede nella vita. Con i loro libri questi filosofi fanno quanto provano a fare gli psicologi di oggi: curare le anime». Per Salvatore Natoli, docente di filosofia morale all’Università Bicocca di Milano, nel radiografare il fenomeno Guillebaud ha ragione: «Da vent’anni a questa parte – basti pensare a Foucault – è riemersa l’attenzione a questi autori, soprattutto nella dimensione di un esercizio spirituale dopo la crisi dei grandi ideali rivoluzionari: vedi la redenzione sociale. A questo si è unito un fenomeno di maggior interesse alla soggettività, sebbene già nei "racconti collettivi" – si pensi a Marcuse – c’era la sottolineatura della liberazione del soggetto e del suo desiderio insieme a quello della collettività. Per questo sono riemerse le grandi scuole antiche che davano molta importanza al governo di sé». Natoli, però, a differenza di Guillebaud non giudica negativamente questo ritorno di stoici ed epicurei: «È positivo perché indica la capacità di dare il meglio di sé nel presente senza aspettare una futuristica utopia. Il mondo tardo-antico (ma anche quello ebraico) insegnava che la giustizia o l’amore dovevano avere come orizzonte l’altro, non l’umanità. Anche in ambito cristiano è in corso una rivalutazione dell’escatologia, considerata come un presente nell’eternità di Dio. Nella mia ricerca filosofica cerco di recuperare molto questo elemento del "qui e ora": la caritas cristiana riguarda il presente, non il domani». Per il filosofo siciliano «già il fenomeno dei festival  indica come al pensiero oggi non si dia più una missione rivoluzionaria bensì quella di sanare l’anima».«Se i nostri contemporanei cercano di reimparare a vivere guardando agli autori del passato, significa che oggi non trovano maestri. Questo ritorno dovrebbe stimolarci per una nuova alleanza tra persone che vogliono insegnare a vivere». Don Giacomo Canobbio, docente di teologia alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale,  coglie l’annotazione di Guillebaud come un richiamo al panorama intellettuale odierno. E però non concorda con il saggista francese nel giudizio di merito: «Questa attenzione al passato non è amor fati, ma un riattingere nel profondo di fronte ad una civiltà deludente». Insomma, non siamo di fronte ad un disincanto collettivo che si connota come lontano dal cristianesimo … «Anzi. I primi pensatori cristiani costruirono un aggancio con l’insegnamento degli stoici, senza negare la prospettiva messianica. Se la gente di oggi legge di più i classici del I secolo è come se ci dicesse: Non ci basta quanto ci state dando, vogliamo qualcosa di più profondo».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: