sabato 5 marzo 2022
Nel suo "testamento spirituale" Orfei, già direttore dell'Ufficio studi dell'Acli e recentemente scomparso, riflette a partire da "Fratelli tutti" su temi divenuti di drammatica attualità
Folla cerca di fuggire da Dnipro, in Ucraina, via treno

Folla cerca di fuggire da Dnipro, in Ucraina, via treno - Ansa

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Negli scorsi giorni è scomparso a 92 anni Ruggero Orfei. Nato a Perugia nel 1930, si laureò in Filosofia teoretica all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Membro della Direzione e della Presidenza delle Acli, Orfei ha guidato dal 1978 al 1982 l’Ufficio Studi ed è stato redattore e collaboratore di alcune riviste e quotidiani fra cui “Vita e pensiero”, “Relazioni sociali”, “L’Italia”, mentre è stato direttore di “Settegiorni in Italia e nel mondo”, “Il mensile” e “Azione Sociale”.Pubblichiamo alcune pagine del suo ultimo scritto, quasi un testamento, un saggio sull'enciclica "Fratelli tutti" dal titolo "La fraternità e l'amicizia sociale", uscito nel numero 3/21 di "La Società", rivista scientifica di dottrina sociale della Chiesa edita dalla Fondazione Giuseppe Toniolo Verona.

La fraternità: una svolta

Papa Francesco ha inviato, non solo ai fedeli cattolici, ma a tutte le persone un messaggio che per il carattere pastorale e per il suo contenuto teologico compie un “voltar pagina”.Non fa molto riferimento, come era abbastanza consueto in un altro tempo, ai suoi predecessori, che venivano richiamati,avendo cura di porsi su una linea di continuità molto precisa e sicura. La lettura del testo suscita l’idea che Papa Francesco voglia compiere uno stacco da un certo tipo d’insegnamento che nella tradizione appariva lineare, anche quando venivano introdotte sostanziose variazioni. La nuova enciclica papale Fratelli tutti ci pone davanti a un cambiamento di stile e di contenuto. Siamo di fronte a una svolta. Il tema viene articolato come un avviso di cambiamento di agenda nella predicazione evangelica. Nel cristianesimo l’idea e la pratica della fratellanza sono apparse sempre come ovvietà, in continuità con un contesto sempre molto vasto di disciplina e di catechesi. Papa Francesco ci dice che quello della fratellanza è oggi il tema. Mi sembra che la fraternità, nel contesto della lettera, sia colta e indicata come un’infrastruttura architettonica nelle relazioni umane.
Adesso siamo avvisati del fatto che parlando di fratellanza non ci si riferisca a qualcosa di evanescente e di facoltativo, ma a una realtà necessitante, che la planetarizzazione rende concreta e, ormai, inevitabile. Come se questo tema riguardasse le emozioni e non solo la ragione. La planetarizzazione, peraltro, ci rende presente e ci avverte del fatto che nel mondo non c’è più un’area di scampo, un territorio franco, e che una soluzione nei rapporti tra i deboli e i forti vada individuata, elaborata e resa stabile.
La fraternità è presentata non come un soggetto interno a un elenco di temi e problemi, rispetto a un contenuto tradizionale di insegnamenti e di indicazioni apostoliche, ma è un fondamento di base: non nuovo e non originale, in un ambiente religioso certamente già costruito, storicamente consolidato, ma che cerca, e trova, nell’enciclica, un modo di guardare al messaggio di Cristo in una prospettiva nuova. Non costituisce solo qualcosa di rinnovato, ma qualcosa di nuovo nel senso di un promemoria rispetto a un tema che, se non era stato del tutto dimenticato, non era visto sufficientemente centrale nella struttura del messaggio evangelico.
Il riferimento pontificio a san Francesco d’Assisi è fondamentale per la scelta del Papa, che trova nel messaggio assisano non una novità, ma la costruzione originale di un approfondimento indispensabile per la storia della salvezza: un’elaborazione della fede di ieri e di oggi. A un lettore forse troppo distratto dalle cose del mondo può risultare solo rifondativo e lo stesso Papa, d’altronde, non manca di fare forti riferimenti a una storia della Chiesa e della pietà cristiana. Tuttavia, tale storia non appare sempre conforme a quello che egli qui intende mettere in luce, proprio come una luce. La robusta indicazione della qualifica degli attori della vicenda del samaritano, a cui il Papa fa menzione, dice in modo eloquente che un ruolo religioso non indirizza necessariamente le scelte su una giusta via. L’autenticità della professione di fede ha sempre bisogno di verifiche e di prove impegnative, e non solo di attestati nominalistici e di ruoli sociali.

Guerra e fraternità

La figura di San Francesco “esplode” in un momento storico caratterizzato da molte guerre. Ma l’elemento più significativo, allora, era costituito proprio dall’emergere del fatto bellico in forme inusitate, persino come “guerra santa”. La guerra santa è antitetica alla predicazione di Cristo e pare essere stata l’ideologia di una fase storica unica. Questa ha coinvolto la Chiesa e non pare interrompere il suo corso storico come un risorgere degli scontri di interessi, di differenze, di religioni, anche senza l’ideologia della crociata. San Francesco comunque nasce e cresce all’interno dell’ideologia della guerra santa. Da qui discende l’importanza del riferimento papale. Il Santo si converte dopo la guerra e la prigionia nel carcere di Perugia. Il perdono della Porziuncola egli lo pensa come alternativo alla guerra santa, senza un entusiasmo favorevole dei grandi della Chiesa.
La scelta francescana – riferita alla campestre cappellina tra le più piccole – è comunque una scelta di fraternità che vuole essere universale e caratteristica dell’intera comunità. Francesco rimane un segno di contraddizione. Quando il santo si recò a Damietta dal Sultano, lo fece soprattutto per stabilire un riconoscimento di fraternità nella riflessione sulla comune paternità di Abramo. Ma non fu umanamente un successo. La durezza dei tempi è espressa bene dalla Specchio dei tempi dove frate Leone racconta che “san Francesco andando con un frate, salutava gli uomini e le donne per la via e i lavoratori che incontrava per i campi dicendo: Il Signore vi dia pace. E siccome gli uomini non avevano mai ancora udito fare da alcuno religioso simile saluto, perciò molti ne avevano meraviglia, anzi alcuni quasi sdegnati dicevano loro: che significa questo vostro saluto? La situazione era così pesante che il frate compagno di Francesco chiese a questi di mutare saluto per evitare noie; al che il santo aveva risposto che ciò non era possibile perché si trattava di una vera disposizione dello Spirito Santo”.
Fu un piccolo e significativo segno dei tempi, in realtà di lunga durata nella comunità cristiana. Gli uomini erano fatti per amarsi e non si amavano. Sarebbe opportuno un approfondimento del tema della crociata come scelta ideologica. Viene in mente il grande trattato del teologo Charles Journet (L’Èglise du Verbe incarné, Essai di de Theologie Speculative) dove l’istituzione-crociata viene a un certo punto giudicata come estranea alla vita religiosa della Chiesa.


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