mercoledì 12 luglio 2023
La città olandese ha messo a frutto la lezione della tabula rasa prodotta dalla guerra e oggi, nel bene e nel male, è una palestra per l’architettura, specie per i progetti sull’acqua e lungo la Mosa
Rotterdam: i grattacieli di Koolhaas e Piano fanno da sfondo al ponte Erasmusbrug

Rotterdam: i grattacieli di Koolhaas e Piano fanno da sfondo al ponte Erasmusbrug - Maurizio Cecchetti

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Se per Le Corbusier la tabula rasa di interi quartieri fatiscenti o degradati poteva essere il metodo per risanare e sviluppare una nuova filosofia nelle città storiche – vedi il caso macroscopico per fortuna mai realizzato del Plan Voisin a Parigi nel 1925 –, l’architetto olandese Rem Koolhaas potrebbe rispondere: fatti, non disegni o parole. Per l’archistar forse più influente oggi al mondo, il “grado zero” è stata un’esperienza soggettiva che è diventata forma mentis ricordandosi della Rotterdam rasa al suolo dai tedeschi durante la guerra; la stessa città, oggi, non ha nulla o quasi di quella che Koolhaas ha conosciuto da bambino: questo, lo ha spinto a dire che le città possono essere ripensate anche da zero, ciò che conta è l’idea che le genera, non la loro storia. Se il modello tiene, lo si conserva, altrimenti si può anche cambiare tutto. Rotterdam è stata ricostruita quasi integralmente, e negli ultimi decenni è diventata il modello, oggi più che mai sbandierato, di come si possano costruire milioni di metri cubi hi-tech e affermare allo stesso tempo che si seguono le regole della sostenibilità e della tutela ambientale.

Come ogni anno il mese di giugno ha visto ripetersi il Rotterdam Architecture Month: un susseguirsi di momenti espositivi-propositivi per mostrare come si possa mettere in scena quello strano connubio di capitalismo ed ecologia, valorizzando le condizioni non facili di una città che è quasi una gigantesca e frastagliata piattaforma verde sull’acqua. Quest’anno, quasi a fare il punto, il tema riguardava appunto i progetti per la City Liquid. Lo slogan che comunica la filosofia generale dei City Projects contiene tre parole chiave: “più resiliente, più verde, più sana”. Cose encomiabili, nessuno si sognerebbe di dire il contrario. I comunicati stampa che presentano le iniziative parlano chiaro: «Sempre più persone vengono a vivere e lavorare nella nostra città, portando ulteriori sfide per quanto riguarda l’alloggio, la mobilità e l’uso dello spazio pubblico. Allo stesso tempo il clima sta cambiando... Come possiamo rendere la nostra città più resiliente, mantenerla vivibile e piacevole?».

A differenza di Amsterdam, Rotterdam sfrutta al meglio due forze fondamentali: il capitale privato che si muove con disinvoltura fra i vincoli e le aspettative pubbliche; e un sentimento di orgoglio, di revanche, per essere risorta dopo la Seconda guerra mondiale. A Rotterdam oggi svetta il più grande, monumentale grattacielo multifunzionale d’Europa, “De Rotterdam”, ideato nel 1998 da Rem Koolhaas e inaugurato nel 2013. Una composizione di blocchi massicci e sovrapposti con spirito dissonante, quasi che la sua mole volesse sfidare i poteri degli dèi: sorge nel quartiere Wilhelminapier, accanto al grattacielo KPN di Renzo Piano, la cui facciata pende in avanti di 6 gradi come – secondo il bizzarro paragone continuamente ripreso su giornali e siti internet – , la Torre di Pisa. L’edificio di Piano, visto da lontano sembra, rispetto a quello dell’architetto olandese, poco più che una grande palazzina. Si spiega il gigantismo di Koolhaas fin da quando, nel 1994 sulla rivista “Domus”, teorizzò la tristemente famosa categoria della bigness, il mastodonte fuori scala che cade come un meteorite sulle città.

Hybris e razionalità tecnica insieme: due principi autoreferrenziali. Il modello poteva essere il Beaubourg di Piano e Rogers, che visto dall’alto assomiglia a un’astronave atterrata nel cuore di Parigi. Ma l’imprinting di Koolhaas è Rotterdam stessa ridotta in rovine, così il “grado zero” autorizza anche chi è impregnato di una millenaria tradizione architettonica a manipolare con una certa protervia tutto ciò che consideriamo memoria storica. Soltanto il tempo dimostrerà se Rotterdam è una città a misura d’uomo come sembra ancora oggi il quartiere Old Charlois con i suoi edifici bassi e il tipico mattore rosso scuro. Ogni anno, ormai da tempo, Rotterdam celebra in giugno il Roof-top Day, il “giorno dei tetti”. In che consiste? Alcune decine di edifici particolarmente alti aprono alla gente le loro coperture affinché possa godere lo skyline della città e fermarsi attorno a un tavolo a chiacchierare, i bambini a giocare, ovvero trasformando quelle prospettive aeree in fondali per spettacoli e performance.

Quest’anno uno dei centri commerciali più grandi della città, Bovenop Zuid, che lo scorso anno ha festeggiato mezzo secolo della propria esistenza, ha aperto il suo tetto a un percorso lungo 850 metri su una passerella gialla che si articola “a domino” lungo la copertura grande come sei campi di calcio. Lungo quel percorso sono stati convocati alcuni artisti che hanno interagito dipingendo muri, inserendo sculture, disseminando tag, oppure componendo led luminosi. Un’operazione curata dalla piattaforma Nieuw Charlois che fonde arte e design e opera nei quartieri della Vecchia Charlois sulla riva sud del Nieuw Maas, e sul web. Se si considera il valore estetico delle opere realizzate, non si può dire che questi artisti, attivi per lo più a Rotterdam, esprimano niente di diverso dalla rielaborazione di codici già entrati nella storia dell’arte contemporanea da decenni; ma l’intenzione è un’altra: rendere più vicina, più friendly, quella stessa architettura nata con una funzione commerciale, centri che, assieme ai musei, sono – direbbe Tom Wolfe –le nuove cattedrali del nostro tempo. D’altra parte, questa sorta di festival annuale dei tetti è una sorta di alibi che vuole richiamare con la creatività il pensiero buono sottinteso nella parolina d’ordine del nostro tempo: sostenibilità. Anche per questa “politica” è stata riqualificata la strada principale del centro di Rotterdam, Coolsingel, che si distende lungo la sponda destra del fiume Maas, la Mosa, e dove si trovano alcuni edifici pubblici rilevanti come il Municipio, le Poste, la Borsa. E anche in questo caso la filosofia progettuale ha portato «meno spazio per le auto, più spazio per ciclisti e pedoni e più verde».

Nel segno della città liquida, prossimamente verranno realizzati alcuni parchi a South Rotterdam, tutti in stretto legame con l’acqua, l’elemento naturale che detta legge a Rotterdam: per esempio, il Rijnhaven Park e il MandelaPark a Maashaven. Il Rijnhaven è un porto cittadino con banchine storiche, chiuso dai quartieri popolari di Wilhelminapier e Katendrecht. Il progetto prevede la realizzazione di circa tremila abitazioni articolate su una rete di isole verdi galleggianti cui si potrà accedere attraverso pontili e passerelle. Il Rijn-havenpark offrirà anche un nuovo Centro Marittimo. Il Nelson MandelaPark, grande come dieci campi di calcio e di cui abbiamo potuto vedere il plastico del progetto, avrà anche collinette, grandi alberi e una piazza pubblica per eventi. Concepito come area per rilassarsi, incontrarsi e fare sport, ospiterà dunque manifestazioni per il tempo libero. Ma qui merita soffermarsi sul personaggio cui il parco è intestato: Nelson Mandela.

Mentre ci venivano mostrati i City Projects in fieri, si è tenuta l’inaugurazione di una nuova scultura pubblica – una delle mille che adornano gli spazi pubblici di Rotterdam –: nella piazza di fronte alla Stazione ferroviaria centrale è stata collocata una statua in bronzo di quasi quattro metri raffigurante una ragazza di colore in scarpe da ginnastica che fissa l’orizzonte sicura di sé tenendo le mani in tasca. Ha la stessa fiera postura che un secolo e mezzo fa fece scandalo fra i borghesi misogini e razzisti di Parigi quando Degas espose la sua Ballerina di 14 anni: era un monumento che riscattava la dignità delle classi più basse. L’autore della scultura di Rotterdam è l’artista inglese Thomas Price, che aveva esposto l’opera ad Art-Basel già lo scorso anno. Price lavora sui modelli estetici e culturali classici, li destruttura e li ripensa in una logica “politica”, se così si può dire, rivolgendo alla società domande provocatorie: chi pensate sia degno di essere rappresentato in un monumento?

Sulla testa degli abitanti di Rotterdam, che per un quarto sono cattolici e in maggior parte protestanti, pesa ancora il ricordo dei misfatti compiuti dai loro connazionali in Sudafrica (e non solo). Sono colpe, quelle coloniali, che non si cancellano con un colpo di spugna, così ad Amsterdam è stato creato un parco Mandela, e lo stesso si prevede di fare a Rotterdam nei prossimi anni. Quella statua, insomma, cela molti significati ed è anche un monito affinché queste cose non si ripetano. Parlando di “città liquida” e di spirito speculativo orientato alla vita sana, merita un pensiero il progetto del bacino RiF010 sul canale dello Steigersgracht, in pieno centro cittadino. A quattro passi dal grande mercato nuovo, imponente struttura pensata come “combinazione sostenibile di cibo, tempo libero, abitazioni e parcheggi”, si sta disponendo un canale per praticare il surf che si prevede sia finito nel 2024. Si era partiti vari anni fa col progetto, che alla fine costerà circa 15 milioni di euro e offrirà una struttura per gli sport acquatici: surf da onda, bodyboard, rafting e surf kayak.

L’acqua viene filtrata e resa cristallina continuamente in modo che possano essere impartite anche lezioni di immersione. Un’onda ogni sette secondi, cioè trecento in un’ora, verranno generate alte anche un metro e mezzo e di vario tipo. Accedere a questa meraviglia costerà, a quanto pare, 45 euro. E chi vorrà potrà acquistare anche un cappellino con visiera sulla cui fronte sarà stampata l’icona del sito. Presentando il progetto hanno anche spiegato che ci sono voluti dieci anni fra concorso e inizio lavori. Lì per lì mi sono detto: allora non succede soltanto in Italia che i progetti vadano alle calende greche? In realtà, non sono state le beghe politiche o la corruzione a ritardare tutto, ma la legge comunale che consente a ogni cittadino di porre domande o sollevare questioni obbligando l’ente pubblico a rispondere singolarmente. Tante domande, tempi lunghi: ma la democrazia è fatta così…

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