Davide Rondoni - Siciliani
Prosegue il dibattito che da diverse settimane anima le pagine di “Avvenire” attorno alle questioni tra cattolicesimo e cultura. In precedenza sono intervenuti Sequeri, Righetto, Gabriel, Forte, Petrosino, Ossola, Spadaro, Giaccardi, Lorizio, Massironi, Giovagnoli, Santerini e Cosentino, Zanchi, Possenti, Alici e Ornaghi.
Anni fa, su queste colonne, dopo aver visto il terzo film della serie firmata da Gennaro Nunziante per Checco Zalone, scrissi che una commedia così la poteva scrivere solo un cristiano. Gennaro mi scrisse «Finalmente qualcuno se n’è accorto». E diventammo amici. Pochi anni prima, Roberto Benigni, a pranzo, dopo avermi ringraziato per un mio testo che “usava” nei suoi pubblici e popolarissimi commenti alla Commedia, rispondeva alla mia domanda sul perché facesse con Dante, di fatto, un inno al cristianesimo: «Perché lì c’è la libertà». Recentemente, occupandomi del prossimo VIII centenario della morte di Francesco d’Assisi, non ho trovato uno che mi dicesse “no, non m’interessa”.
Perché parto da questi piccoli fatti personali per una riflessione da poeta sul tema meglio dibattuto da professori, teologi e sociologi in queste settimane? Perché ritengo che non sia in crisi la cultura cristiana, ovvero il contributo originale che essa offre attraverso molti modi dà alla vita delle persone, semmai sono offuscati gli occhiali con cui una certa intellighenzia e un certo clero, anche cattolici, la individuano, misurano e semmai valorizzano. Intendo dire che in questi anni, e possiamo vedere in prospettiva quasi un secolo dietro di noi, è forse invalsa l’abitudine a misurare il contributo della cosiddetta cultura cattolica in modo un poco asfittico e mortificante per la medesima cultura. In modo moralistico, sociologico e spesso banalmente politico. Del resto, il nucleo del contributo di una cultura veramente cattolica, la sua originalità, non sta nell’insieme di valori che presuntivamente ne discendono. Non sarebbe cultura ma fissa ideologia. E spesso gli occhiali di cui parlo sono offuscati perché facendo del cristianesimo una ideologia come le altre (o ancella di altre) ne misurano la presenza in termini ideologici e di realizzazioni conseguenti, con un linguaggio stanco e lontano dalla vita.
La nostra originalità sta nel fatto che crediamo nella Risurrezione di Cristo, della Sua e nostra carne, e questo cambia la prospettiva dello sguardo su tutto. Su tutto! In Italia, per restare tra noi, la fede cristiana ha ispirato e visitato grandi operazioni culturali e artistiche e anche popolari. Si pensi anche al fenomeno della rinascita della musica tradizionale suonata da tanti ragazzi il cui maestro Ambrogio Sparagna è un faro per tanti, opposta alla musica di “plastica” di una società dello spettacolo sempre attenta a esser “democristiana” (e ricca) più che cristiana. Quanto cristianesimo invece in quei racconti, in quei ritmi che cercano la guarigione, in quelle figure! Se lo si sapesse leggere, invece di concentrarsi su convegni polverosi, su editoria in serra, o su scuole cattoliche che invece di esser scuole dei talenti (evangelicamente) sono state nel migliore dei casi scuole serie o per ricchi e basta, sulla enciclopedia atea di Diderot e D’Alembert, su disquisizioni politiche. Rispetto alle quali occorre anche dire che al governo in Italia ci sono partiti che si dichiarano influenzati dalla cultura cristiana. Ma per me piuttosto conta che tanti artisti importanti e minori stiano lavorando, anche su mio povero input, sulla figura della Sibylla, la profetessa pagana femminile e tellurica inclusa nel grande racconto cristiano. Perché senza di lei, diceva Eliot, e cinquant’anni dopo Pasolini, cioè senza le figure del “sacro”, la terra diviene “desolata”– preda di figli di N.N., aggiungo, figli solo di Numero e Narciso, individualismo calcolabile.
Il senso sacro della vita, a cui tutti gli animi inquieti anelano, si realizza pienamente nella Risurrezione. Come sapevano Manzoni, Ungaretti, Luzi. Occorre avere gli occhiali giusti. Senza l’attenzione sui tanti punti vivi di incrocio tra desiderio del sacro e Risurrezione, la cultura cattolica rischia d’essere clericale e scontata, e semmai affascinata, come si vede, da intellettuali (o politici) che “somigliano” a preti, ma ne sono la malacopia verbale e culturaloide. Senza Risurrezione, senza originalità.